Ossobuchi alla Maestro

Anche oggi c’è il sole”.
“E’ un autunno meraviglioso”.
“Ma tu lo avresti mai immaginato che ci saremmo ritrovati qui proprio io e te a distanza di vent’anni?”.
“Ma che dici, non avrei mai potuto immaginarlo. L’ultimo saluto ce lo siamo dati in quell’attimo in cui ti ho vista sparire dal frigorifero. Eri elegante come una gazzella pur essendo un’orata”.
“Adesso mi fai diventare rossa”.
“Quel rossetto ti sta benissimo”.
“Grazie, ma tu perché mi guardi così?”.
“Sei proprio bella. Hai visto come ti ha guardato quel tipo con la sciarpa?”.
“Ma è grande per me”.
“I tempi sono cambiati. L’età non conta molto. Agli uomini adulti piacciono le ragazze come noi, un po’ pazze e diciamolo pure anche un po’ puttane”.
“Certo che tu in quanto a pazzia sei un’esperta”.
“Ma la gente dimentica in fretta. Hai sentito più parlare di me, della terribile mucca pazza?”.
“Nooo. Ma adesso ci mangerebbero in un sol boccone. Reincarnate in due splendide e sensuali fanciulle appena sopra i vent’anni”.
“Ma perché siamo rinate proprio qui, a Parigi?”.
“Forse perché Lui amava Parigi, la Senna, Truffaut, questo bar dove sedevano al mattino, proprio come noi, Sartre e la de Beauvoir”.
“Truffaut? Chi era?”.
“Ma quello che faceva i film dentro i film! Un po’ come noi che viviamo una vita dentro una vita”.
“Però possiamo viaggiare in questo tempo, ora?”.
“Certo. A patto di non dimenticare mai le nostre origini. Sono quelle che ci danno la forza e l’orgoglio di affrontare chiunque a viso aperto. Tu, orata… sì, lo so, ora ti chiami Lucilla, sei uscita dal mare per inorgoglire Lui davanti ai suoi ospiti tutta profumata di pistacchio, e ora guardati, sei l’attrazione di questo bar, nel cuore di Parigi”.
“Anche tu non scherzi mucca pazza, al secolo Simonetta, anche se hai conservato un po’ le tue fattezze”.
“Va bene avrò un bel culo un po’ grosso ma guarda i miei stinchi, scusa volevo dire le mie gambe, agili e scattanti”.
“Ma raccontami la tua ultima cena”.
“Sono passati vent’anni e mi sembra ieri. Lui aveva il viso sul tegame di terracotta e faceva attenzione ad amalgamare bene, con il mestolo di legno, la Cipolla con il mio Midollo”.
“Era d’inverno, vero?”.
“Era d’inverno e pioveva. Ogni tanto un lampo squarciava il cielo, ma Lui serafico mi sorrideva e mi tranquillizzava. Quando ci siamo sentiti pronti Lui lo ha capito e ha adagiato su di noi gli Ossobuchi, la parte migliore del mio stinco. Li ha rivoltati due volte per permetterci di aderire loro completamente. E poi è piovuto su di noi pepe sottile. E il buio. Ma il coperchio lasciava filtrare un po’ di luce per farci respirare”.
“Cos’altro ti ricordi?”.
“Che la cottura è stata lunga, sempre aiutata da mestoli di brodo per evitare il bruciore”.
“Hai visto come ti guarda quello?”.
“E’ da questa mattina che mi segue. Dice delle cose sul mio culo che farebbero vergognare il divino Marchese, credo sia uno psicanalista”.
“E tu cosa gli rispondi?”.
“Esagero nei miei movimenti per provocarlo”.
“Ma forse è troppo. Così non te lo levi più di torno”.
“E chi vuole levarselo di torno. Sono a Parigi e voglio godermela”.
“Ma finiscimi di raccontare la tua ultima cena”.
“Hai ragione a chiamarla ultima cena, senza offesa per carità, perché penso che ormai nessuno mangia più gli Ossobuchi. Hanno troppa paura di svegliarsi un giorno affetti da un terribile morbo. Sarà! Quando Lui ci ha messo accanto a quel Risotto Giallo e il profumo di Zafferano ha inebriato le menti degli ospiti, il nostro viaggio è cominciato ed è durato fino a oggi”.
“E cosa ci aspetta ora?”.
“Vent’anni di libertà”.
“E vent’anni d’amore”.
“E fra vent’anni?”.
“Io sarò finalmente guarita dalla pazzia anche grazie al mio psicanalista e tornerò a fare il mio sporco lavoro di mucca”.
“Ho capito, io mi reincarnerò in una orata con il rimpianto di Parigi nel cuore”.