Silvio Berlusconi e Giuliano Amato

Con il rinvio delle misure antiterrorismo e la penosa giustificazione addotta dal presidente del Consiglio, secondo il quale ora “il pericolo del terrorismo non è imminente”, si chiude definitivamente ogni dibattito sulle possibilità di ripresa della Casa delle libertà. Non è immaginabile un epitaffio più significativo per un governo di centrodestra in un momento simile, mentre la Lega ha già chiaramente impostato la sua campagna elettorale sulla minaccia incombente, sull’antieuropeismo e sulla linea dura contro criminalità e immigrazione. Ma a impressionare è soprattutto il parallelismo tra la vicenda dei governi di centrosinistra dal ’96 al 2001 e quella dell’attuale maggioranza, segno inequivocabile di un bipolarismo ancora troppo debole e incapace di contenere le spinte centrifughe.
Come il governo dell’Ulivo, anche il primo governo Berlusconi – nonostante godesse di numeri in parlamento assai più favorevoli – ha retto di fatto appena un paio d’anni, per divenire subito ostaggio della propria maggioranza, tra verifiche e rimpasti che ne hanno cambiato radicalmente composizione ed equilibri ben prima che la sconfitta delle regionali imponesse la crisi e la formazione di un Berlusconi bis. Nella stessa persona del Cavaliere sembra riassumersi la vicenda dei tre premier del centrosinistra e oggi in particolare di Giuliano Amato. Gianfranco Fini sembra assumere al tempo stesso – all’interno del suo partito e nella coalizione – sia il ruolo che fu allora di Massimo D’Alema, sia quello di Walter Veltroni: contestato dentro An da un lato, dall’altro pronto a giocare di sponda con Pier Ferdinando Casini per la sostituzione dell’attuale premier nella corsa alla candidatura per il 2006. Rutelli lasciava allora a Veltroni una comoda via d’uscita capitolina dalle difficoltà in cui si dibatteva il suo partito (nel 2001 i Ds avrebbero toccato il loro minimo storico), oggi Casini può offrire a Fini la guida della coalizione o di un eventuale soggetto unitario della Cdl una volta messo da parte il Cavaliere. E come Rutelli allora, Casini oggi può pensare di conquistarsi sul campo, nonostante la sicura sconfitta, i galloni di leader.
Come allora per il centrosinistra, così per il centrodestra la sconfitta del 2006 non appare scontata solo per il diffuso malcontento, per le condizioni dell’economia o per i risultati di tutti i sondaggi, quanto per la dinamica politica ormai irrimediabilmente innescata al suo interno. Nel 2001 il centrosinistra si preparava ad andare alle elezioni diviso tra Ulivo, Rifondazione comunista e Lista Di Pietro; in vista del 2006 la Casa delle libertà – formalmente unita – vede crescere ogni giorno il solco tra la linea politica lucidamente perseguita dalla Lega e quella mantenuta da Marco Follini, paralizzando il governo e l’iniziativa dello stesso Berlusconi fino al limite del ridicolo (come nel caso della vicenda sulle misure antiterrorismo). Il parallelo con il centrosinistra vale più di mille sondaggi. E spiega anche perché, terminate le elezioni, il tema delle riforme e del consolidamento del sistema bipolare dovrà tornare all’ordine del giorno. Non per tornare al passato, come nei disegni proporzionalisti e neocentristi, ma per uscirne davvero.