cosa dicevamo

Il salotto buono

Secondo quanto ha scritto domenica scorsa Barbara Spinelli sulla Stampa, facendoci l’onore di una lunga citazione tratta dal nostro ultimo editoriale, il “sito internet dalemiano leftwing.it” sarebbe espressione di quello “schieramento eteroclito” che in questi giorni ha preso le difese del governatore Antonio Fazio. In quell’articolo avevamo scritto: “Se al declino economico si accompagna il declino civile, il comportamento di Antonio Fazio è forse lo specchio della crisi, certo non ne è la causa”. Il comportamento del governatore è lo specchio di questa Italia, la manifestazione plateale della sua cattiva coscienza, che oggi molti vorrebbero esorcizzare facendone un capro espiatorio, bruciandolo sul rogo purificatore. Tale reazione da sommossa contadina non ci pare consona agli usi e ai costumi di una borghesia che si dice illuminata e moderna, e che come tale si fa ritrarre sui propri giornali. Teniamo il punto: noi non porteremo il nostro legnetto a questo penoso falò delle vanità. Il nostro giudizio su Antonio Fazio e su Gianpiero Fiorani è netto, ma non partecipiamo alla gogna convocata – tra gli altri – da molti dei loro più strenui difensori, in tempi non lontani e assai sospetti.
L’articolo di Barbara Spinelli è però molto interessante come manifesto di quell’Italia che ha ancora a Torino la sua Casa reale. Il messaggio rivolto neanche troppo implicitamente a Piero Fassino è chiarissimo: scarichi D’Alema e Bersani (colpevoli di appartenere allo “schieramento eteroclito” di cui sopra) e avrà salva la vita. Lo stesso messaggio che è venuto sabato dai direttori del Corriere della sera e di Repubblica, Paolo Mieli ed Ezio Mauro, intervistati da Giuliano Amato (non è una battuta, ma il sorprendente incipit del suo intervento in quella singolarissima iniziativa). Occorre costruire il partito democratico – ha detto Mieli imponendo a Romano Prodi persino la data: entro il 2007 – e tale partito deve innanzi tutto porsi l’obiettivo di eliminare per sempre dalla faccia della terra ogni residuo post-comunista, deve essere guidato da un cattolico orgoglioso delle sue convinzioni (Antonio Socci, immaginiamo) o da un liberalsocialista che non si vergogni di dirsi semplicemente liberale (evidentemente la contraddizione tra l’essere liberalsocialista e il dirsi soltanto liberale era un omaggio nei confronti del gentile intervistatore). Dinanzi a un così autorevole consesso, Francesco Rutelli non ha mancato di levare alto il suo monito – che certo la Spinelli avrà molto apprezzato – contro ogni collateralismo, non sappiamo se eteroclito od omoclito.
Proprio in questi giorni Left Wing compie due anni. Prendiamo dunque le recenti attenzioni della stampa come un augurio. Qui hanno scritto e scrivono persone dei più diversi orientamenti politici e culturali, come l’archivio e ogni singolo numero testimoniano (per quanto riguarda il nostro essere dalemiani, rimandiamo alla rubrica Ciò che non siamo). Si tratta di una piccolissima creatura, sebbene due anni per questo genere di iniziative cominci a essere già un’età veneranda. Left Wing è nato nel dicembre 2003, dinanzi al montare dei girotondi e della campagna tesa a ricacciare la sinistra in una opposizione pregiudiziale e dai toni moralisti, ubriaca di parole scivolose e sospette quali intransigenza, indignazione, diversità morale o antropologica. Nella testata abbiamo liberamente parafrasato una frase di Ludwig Wittgenstein: “I risultati della filosofia sono la scoperta di un qualche schietto non-senso e di bernoccoli che l’intelletto si è fatto cozzando contro i limiti del linguaggio”. In quel momento ci pareva infatti che la sinistra italiana rischiasse di rimanere invischiata nella rete delle sue stesse, malintese parole d’ordine: era il tempo di Nanni Moretti e di Sergio Cofferati, del pacifismo assoluto e irresponsabile di Gino Strada e del falso moralismo di chi invocava le manette per gli avversari politici e la gogna per gli avversari interni.
Allora non c’erano molti luoghi in cui a sinistra si potesse denunciare apertamente una simile deriva. Siccome non c’erano, ne abbiamo costruito uno con le nostre mani. E se mai avessimo pensato di abbandonarlo, sfortunatamente, oggi ne avremmo di nuovo sentito il bisogno, dinanzi al diffondersi di un nuovo spirito del ’92, nei giornali e tra gli intellettuali che fanno riferimento al salotto buono del nostro declinante e sempre più angosciato capitalismo. Perché la radice di quella regressione politico-culturale che allora minacciava la sinistra non era nata nel suo grembo. Era, se possiamo permetterci, eteroclita.