Le lacrime del caimano

L’ ultimo capitolo dell’autobiografia intellettuale di Nanni Moretti, Il caimano, lascia a Silvio Orlando il ruolo del protagonista (che in realtà, ovviamente, è sempre lo stesso Moretti) e narra le vicende di un mediocre produttore di b-movie in via di fallimento. Incappato per caso e quasi controvoglia nell’impegno politico, nel pieno di un tormentato divorzio, il protagonista si lascia trascinare dall’entusiasmo di una giovane aspirante regista impersonata da Jasmine Trinca – in cui c’è tutto l’antiberlusconismo viscerale e naif della perfetta girotondina – imbarcandosi in un viaggio disperato dentro il cinema italiano, con le sue miserie e la sua inarrestabile decadenza, certificando l’impossibilità di realizzare un film su Berlusconi. Un film, come ripete continuamente lo stesso Silvio Orlando, che sarebbe innanzi tutto un film sull’Italia di questi anni. E il cinema italiano – ma potremmo dire la cultura italiana tout court – da tempo non ha più in se stesso le risorse necessarie nemmeno per tentare un’opera del genere.
Questo è il motivo per cui Nanni Moretti a fare un film del genere non prova nemmeno. Senza scivolare nell’idealizzazione della giovane regista in lotta contro i potenti, ma offrendone invece un ritratto convincente e impietoso. E divertendosi egli stesso, prima di impersonare Berlusconi nell’ultima, efficacissima scena del film, a impersonare se stesso nell’atto di rifiutare la parte, con parole assai significative: “Si sa già tutto, chi voleva capire ha capito. La verità è che Berlusconi ha già vinto, ha vinto trent’anni fa, ci ha cambiato la testa con le sue televisioni”. Ragion per cui il Nanni Moretti che interpreta se stesso, ma che in realtà con queste obiezioni sembra si stia divertendo più che mai a interpretare D’Alema, preferisce girare una commedia. E alla scontata obiezione della giovane regista militante – ti sembra questo il momento di girare una commedia – risponde serafico: “E’ sempre il momento per girare una commedia”.
Ridicolizzando l’intera opera del produttore prima ancora di mostrarci le scene del suo film su Berlusconi – dunque ponendo un filtro ironico tra il suo film, quello del regista reduce dall’impegno di militante antiberlusconiano, e quello di Jasmine Trinca e Silvio Orlando – Nanni Moretti costruisce una trama perfetta, senza sbavature e senza cadute di stile. Le immagini del vero Berlusconi che in televisione scandalizza il Parlamento europeo dando del Kapò al capogruppo socialista si affiancano naturalmente a quelle del film così tenacemente voluto da un produttore che altrimenti dovrebbe chiudere bottega (e qui il riferimento a tanti intellettuali antiberlusconiani è certamente una nostra forzatura interpretativa). Con questo filtro ironico, anche le poche scene di quello che tutti gli spettatori si aspettavano di vedere al posto di questo curioso gioco di specchi – il film su Berlusconi – non perdono affatto, anzi acquistano potenza evocativa. Il caimano diviene quindi un personaggio simbolico, un’ossessione, un incubo inafferrabile e sostanzialmente irraccontabile. Perlomeno da un cinema, da un mondo della cultura, da un’Italia che in fondo non è poi così diversa da lui, come non lo è il grande attore impersonato da Michele Placido. Grazie a questo filtro, Nanni Moretti regista si mostra assai più lucido del suo alter ego politicamente impegnato, che nei suoi improvvisati comizi probabilmente scontava proprio l’assenza di questa separazione, finendo per immiserire se stesso, il proprio ruolo e le proprie parole. Ed è per questo che l’ultimo capitolo della sua autobiografia intellettuale è così diverso, con la sua cupa atmosfera e la sua morale irrisolta, dai fiori di un Aprile ormai lontano, che nessuno – tantomeno la sinistra – potrebbe rimpiangere.