Berlusconi aveva già perso, e io con lui

Berlusconi ha perso, non per l’esito delle elezioni, ma per lo stesso motivo per il quale Garibaldi ha vinto. Ovvero: in Italia, così come non si può parlare male di Garibaldi nonostante la sua fine politica e militare ingloriosa, non si può parlare bene di Berlusconi. Il quale, in altre parole, non è riuscito a far diventare cultura il suo credo, la sua posizione politica, le sue idee. E pertanto ancora oggi, dopo dodici anni di berlusconismo, per molti Berlusconi non è stato altro che il punto d’incontro di interessi, di malaffare, di indecenza umana e politica, e non piuttosto, come io credo sia stato, innanzitutto e perlopiù il portatore di alcune (buone) idee per l’Italia. Da ciò, Berlusconi ha maturato quella fissazione, un po’ paranoica e un po’ no, secondo la quale sarebbe stato oggetto di una costante campagna d’odio.
Parte della colpa di questa incomprensione della genuinità politica del berlusconismo, intendiamoci, è dello stesso Berlusconi, molto ben supportato in questo dai suoi stessi alleati. Tuttavia, con la character assassination del Caimano occorrerà fare i conti, soprattutto se si andasse incontro, in tempi relativamente brevi, a una sua marginalizzazione dalla scena politica, vuoi per le sconfitte elettorali, vuoi per sopraggiunti limiti di età, vuoi per altri motivi al momento imperscrutabili. Scommetterei volentieri un euro sul fatto che, al massimo tra una ventina d’anni, i più ripenseranno all’epoca berlusconiana come a uno snodo decisivo della storia politica italiana, magari addirittura per rimpiangerla o per salutarla malinconicamente come un’occasione persa, così come già si sta facendo con il craxismo e come ormai è prassi fare con le epoche di Moro, di De Gasperi, di Giolitti: personaggi tanto vituperati dai contemporanei quanto serenamente rivalutati dai posteri.
Ma di quali buone idee sarebbe stato portatore Berlusconi, mi chiedono spesso amici e conoscenti quando mi sentono sostenere queste mie bislacche tesi? E che cosa, dunque, si sarebbe perso con la sua incapacità di divenire cultura politica del Paese? O ancora, per dirla nel modo più semplice, che cosa ho trovato in questi anni di così convincente in Berlusconi per votarlo ripetutamente, io che non possiedo un’azione che sia una, che ho un conto in banca perennemente sul limite del rosso, che non sono un imprenditore, che guadagno poco più di mille euro al mese col mio stipendio di insegnante medio superiore?
Provo a rispondere.
Primo: Berlusconi ha occupato uno spazio politico rimasto vuoto: il centrodestra. Lo fece subito dopo Tangentopoli, ma in realtà venne a colmare un buco creatosi in tempi ancestrali. L’idea formidabile di cui si è fatto indegnamente portatore è quella di una forza politica liberale di massa. Semplicemente, una cosa che in Italia non è mai esistita. Indegnamente, ho scritto. Ma l’indegnità del rappresentante non toglie una virgola alla bontà dell’idea, e soprattutto non c’era allora e non sembra esserci tuttora sulla scena alcun rappresentante alternativo, né più degno né meno.
Secondo: Berlusconi ha rappresentato, molto meglio e più fattivamente di coloro che dello slogan sono stati gli inventori, la possibilità di dare voce e corpo a un Paese “normale”, fatto di lavoro, risparmio, senso della famiglia, cattolicesimo sociale, voglia di modernità ben temperata, in sintesi un mix liberale di progressismo e conservatorismo imperniato sul senso comune, che spesso è nient’altro che buon senso, del ceto medio. L’Italia delle partite iva, s’è detto da parte di molti non senza malcelato disprezzo dall’alto di una supposta superiorità antropologica. In realtà, l’Italia di milioni di persone che, per la prima volta da molto tempo, si sono sentite trattare come un’opportunità per il Paese e non come una zavorra sulla strada dell’avvenire, né come un mero serbatoio di risorse per politiche che non le riguardassero se non per deprimerne le energie, le aspettative e le idealità.
Terzo: Berlusconi è stato il politico che meglio di ogni altro e senza troppe contorsioni teologico-politiche ha saputo incarnare un rapporto sereno con la presenza ingombrante della Chiesa cattolica nello spazio pubblico italiano. Senza laicismi, senza genuflessioni, con ossequio formale, ma anche con un bel senso laico della differenza tra la sfera della legislazione e quella del dibattito, nella consapevolezza che non si può governare l’Italia invocando la censura preventiva per le posizioni cattoliche, e anzi occorre dare loro ascolto e tenerle in considerazione, tenendo al contempo un atteggiamento nella sostanza più libero e autonomo rispetto a quello di qualunque democristiano del tempo che fu e del tempo che è ancora.
Quarto: Berlusconi ha condotto una politica estera che, al di là delle pacche sulle spalle a Putin e di altre manifestazioni di folklore delle quali anche chi scrive avrebbe volentieri fatto a meno, ha collocato l’Italia in una posizione chiara, netta, lecita sul piano del diritto internazionale e, dal punto di vista mio e di altri milioni di italiani, condivisibile: con gli Usa, con Israele, a favore dell’idea rivoluzionaria dell’esportazione della democrazia, contro il terrorismo internazionale.
Quinto: Berlusconi ha portato avanti alcune riforme strutturali le quali, pur con le farraginosità volute e introdotte perlopiù dagli alleati, hanno un po’ svecchiato e cercato di rendere più dinamici alcuni settori chiave del Paese: lavoro, pensioni, scuola. Il tutto seguendo un’idea-guida semplice come l’uovo di Colombo: meno burocrazia, più libertà; meno dirigismo, più fiducia nella capacità della società di autoregolarsi. O, per dirla con uno slogan che ha avuto una certa meritata fortuna: più società, meno Stato.
Sesto: Berlusconi è umanamente impresentabile. E si badi bene che inserisco questo punto nei pregi dell’uomo e della sua politica. È anzi, a mio modo di vedere, il pregio maggiore e decisivo. È l’antidoto a ogni possibile deriva giacobina. Già uno che prova a derivare autoproclamandosi “Unto del Signore” non può pretendere di essere preso sul serio. I dodici anni di berlusconismo sono stati, bisogna ammetterlo, anni di grande spasso. Anni in cui comici e autori di satira hanno viaggiato col freno a mano tirato, com’ebbe a dire a suo tempo l’insospettabile Luttazzi. S’è finito con l’immagine, invero un po’ truce, del caimano e, come basso continuo dell’intera epoca berlusconiana, ha risuonato la tiritera dei processi, delle collusioni, del conflitto d’interessi. Però nel mezzo ci sono stati il “kapò”, “Romolo e Remolo”, le “spose” che non fanno politica perché non vogliono abbandonare la famiglia, le sboronate di ogni genere, Mussolini che non ha mai ucciso nessuno, il colbacco, le corna, i cinesi che mangiano bollito di bambini e un mucchio di altre straordinarie fesserie. Dall’altra parte, ora, ci viene promessa nientemeno che la serietà al governo. E io ho paura solo a pensarci, perché che il popolo abbia la chiara idea che chi lo guida è uno che avrà pure idee e capacità di lavoro, ma anche le normali inadeguatezze che ciascuno di noi si porta dietro (alzi la mano chi, una volta nella vita, non ha fatto una gaffe a là Berlusconi) e anche inadeguatezze ben più macroscopiche, quasi fossero il correlativo in negativo di una vitalità politica di prim’ordine, beh, è uno dei fondamenti a mio giudizio irrinunciabili della democrazia.
Per concludere: il fatto che Berlusconi possa essere liquidato nell’immediato come nient’altro che un’anomalia finalmente ricondotta alla normalità rassicurante del paradigma della politica italiana ha come corollario, purtroppo, il fatto che le idee qui sopra esposte vengano accantonate, messe da parte, ricondotte in quell’oblio di noncuranza dal quale grazie a Berlusconi sono emerse per occupare la scena di un decennio, pur tra tante contraddizioni. Il vero limite e la vera inadeguatezza politica di Berlusconi coincidono, a mio parere, proprio con l’incapacità di far mettere radici a quelle idee anche oltre sé, oltre la propria sopravvivenza politica. A noi liberali non iconoclasti, progressisti eppure moderati, cattolici per nulla integralisti, toccherà, insomma, continuare a sognare l’avvento di un nuovo Giolitti, di un nuovo De Gasperi, di un nuovo Moro. O, in subordine, di un nuovo Berlusconi.