Il cattocomunismo secondo Galli

C’ è stato un tempo in cui una lunga serie di autorevoli editorialisti del Corriere della sera, Ernesto Galli della Loggia tra i primi, amava criticare la sinistra di origine comunista per la sua incapacità di fare i conti con l’eredità del Pci. Era il tempo, in verità non lontano, in cui al Pds prima e ai Ds poi si rimproveravano l’approccio ancora fondamentalmente di classe ai temi del lavoro e dell’economia, l’incapacità di abbracciare pienamente i principi del liberalismo e dell’economia di mercato, l’inveterata diffidenza nei confronti dell’individualismo. Tutti elementi cardine della modernità che la sinistra democratica continuava a considerare come il portato di un’americanizzazione nefasta per il paese, per i suoi valori e la sua coesione sociale. Una visione che gli stessi commentatori non mancavano di attribuire anche a larga parte del mondo cattolico, indicando nell’egemonia cattocomunista la vera radice dell’arretratezza culturale – e in ultima analisi anche economica e civile – di un paese congenitamente refrattario al liberalismo e alla modernità.
Era la fase in cui gli editorialisti del Corriere non passavano giorno senza esortare la sinistra a raccogliere la lezione di Marco Pannella e dei radicali, ad ascoltare le loro parole d’ordine liberali, liberiste e libertarie. Messaggeri inascoltati di una missione civilizzatrice del capitalismo che solo in Italia, tra tutti i paesi dell’Occidente, sembrava soccombere dinanzi alla forza di quell’egemonia pseudo-progressista, in realtà intimamente reazionaria, di radice cattolica e comunista, appunto.
Quel tempo è finito per sempre domenica scorsa. E’ finito quando il professor Galli della Loggia ci ha spiegato la mutazione avvenuta nella sinistra: “Non più il sospetto per tutto ciò che sapesse di individualistico, di piacere fine a se stesso, di ‘borghese’, non più diffidenza per i valori acquisitivi, non più disponibilità a pensare la vita soprattutto come impegno, e neppure, ormai, la traccia di quel tanto di moralismo magari un po’ ipocrita, di esibito perbenismo che caratterizzava quegli orizzonti di un tempo”. Niente di tutto questo. “Ora, all’opposto, i nuovi ceti di riferimento della sinistra sono tutti immersi in un’atmosfera che appare dominata dalla più radicale soggettività, nonché da una morale di tipo individualistico-libertario (si ha il diritto di fare ciò che si vuole, basta che non si danneggi un altro; quanto allo Stato, esso non deve immischiarsi di nulla), pronti a identificarsi con tutte le mode, i tic, i gusti, i consumi della modernità purché, beninteso, rivestiti di un’opportuna patina di eleganza”.
Tralasciamo la patina di eleganza e andiamo invece alla dura scorza della sostanza, che è poi la morte del cattocomunismo, annunciata fin dalle prime righe dell’articolo e derivata proprio dalla mutazione genetica intervenuta nella sinistra, descritta con le parole che abbiamo appena citato. Parole, sia detto per inciso, che la sinistra potrebbe mettere su un manifesto per rintuzzare le accuse di statalismo, moralismo e scarsa cultura liberale che da tempo le vengono mosse: “Si ha il diritto di fare ciò che si vuole, basta che non si danneggi un altro; quanto allo Stato, esso non deve immischiarsi di nulla”. Con un simile manifesto, perlomeno a Milano, i Ds potrebbero facilmente raddoppiare i propri iscritti.
Per restare alla sostanza del ragionamento, però, occorre citare anche gli altri due elementi che per Galli della Loggia hanno causato l’improvviso decesso: la conversione dall’economia all’etica dell’agenda politica, contestuale alla perdita di sovranità, in materia economica, dello stato nazionale. “E’ a Bruxelles e Francoforte che si decidono i parametri vincolanti delle politiche economico-monetarie da cui dipende tutto. Ed è stato per l’appunto grazie a Bruxelles e Francoforte che da anni si è imposta dovunque la svolta liberista alla quale, oggi, anche i più riottosi ministri di Rifondazione comunista sono costretti ad adeguarsi”. Anche qui, l’intera coalizione del centrosinistra dovrebbe prendere nota con soddisfazione, dando per scontata l’ovvia conclusione che d’ora in avanti anche i giudizi del Corriere, o perlomeno di Galli, saranno assai più misurati rispetto alla minaccia rappresentata dalla sinistra radicale per il buon governo del paese, essendosi tutti adeguati alla “svolta liberista”. Insomma, l’intera sinistra post-comunista, fino alle sue più estreme propaggini, sembrerebbe divenuta un modello di coerenza liberale in ogni campo dell’agire politico.
Purtroppo però non è questa la conclusione dell’articolo, che in verità parrebbe anche a noi eccessivamente ottimista. La conclusione, come dicevamo, è la fine del cattocomunismo, che noi credevamo finito addirittura trent’anni fa e che invece scopriamo essere stato vivo fino a ieri. Ma questo, per essere onesti, lo testimoniavano già i tanti articoli dedicati al tema dal Corriere (e da Galli medesimo) citati all’inizio. La conclusione è che oggi da un lato sta la sinistra che parla di pacs, nozze gay, eutanasia, libertà di ricerca; dall’altra il mondo cattolico e la Chiesa “impegnati, come sanno e come possono, a combattere proprio contro il bagaglio etico e ideologico che oggi a sinistra raccoglie i maggiori consensi”. E ovviamente, quale che sia l’esito di questa implacabile pugna, “appare però chiaro che comunque anche su questo piano l’antico dialogo con i cattolici tanto caro alla sinistra di ispirazione comunista ha ormai perduto ogni possibile verosimiglianza”. E qui, stecchito, muore dunque il cattocomunismo secondo Galli della Loggia.
Da queste parole si potrebbe dedurre che l’editorialista del Corriere non sia più dell’opinione che la sinistra dovrebbe ascoltare la lezione di Marco Pannella. Ma soprattutto sorge il sospetto che nessuno abbia informato l’illustre storico che da qualche anno gli eredi del Pci e della Dc stanno lavorando alla costruzione di un unico partito. Anche se tutti coloro che a quel partito sono ostili – tanto da posizioni di sinistra quanto da posizioni moderate e di oltranzismo clericale – cercano sistematicamente di mettere tra le ruote del progetto il tema di malintese questioni etiche, che in verità non hanno affatto la centralità politica di cui parla Galli. Come testimonia anche il larghissimo ricorso – per non dire abuso – al voto di coscienza, all’interno di tutti i partiti e tutte le coalizioni esistenti (al referendum sulla fecondazione assistita, per dirne una, il segretario di An e vicepresidente del Consiglio ha votato difformemente dal suo partito e dalla sua coalizione). L’impressione è però che Galli della Loggia del partito democratico non si sia affatto dimenticato. Al contrario. E che qualora i Ds, invece di lavorare all’unione con la Margherita, avessero rifondato un partito socialista sul modello zapaterista insieme alla Rosa nel Pugno, avrebbe scritto esattamente le stesse cose. Con l’unica differenza che in quel caso, in parte, avrebbe anche avuto ragione.