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Passeggini Aerosport e mondo naturale

Che cosa hanno in comune il sushi e il tailleur di Ségolène Royal, il corpo nudo di Emmanuelle Béart e le compagnie aeree low-cost, le auto con quattro ruote motrici e la free press distribuita gratuitamente? Vi do un aiutino: Roland Barthes.
No, non è Roland Barthes che si è occupato di tutte queste cose. Ma sono trascorsi cinquant’anni dalla pubblicazione di “Miti d’oggi”, e una trentina di scrittori, psicanalisti, filosofi e sociologi provano a fare la lista delle mitologie del nostro tempo.
Nell’elenco, ci sono delle cose che colpiscono anche me. Catherine Millet si occupa ad esempio del passeggino. Sono molto cambiati, i passeggini. È cambiato anzitutto il nome: Aerosport, Carrera, Vigour, Sprint: sembrano motociclette. La ragione è semplice: a guidarli sono sempre più spesso i padri. Ecco allora che spuntano passeggini con sei e perfino con otto ruote, passeggini con freni a disco anteriori (per competizione, immagino), passeggini con manubrio ergonomico regolabile in altezza, passeggini con pedanetta posteriore antiscivolo, passaggini portabibite “cup holder”, passeggini con nuovo sistema di bloccaggio delle ruote piroettanti, passeggini con telaio trasformabile, passeggini full optional superaccessoriati. Questi passeggini ipervirilizzati dovrebbero procurare ai padri gli stessi godimenti di un’automobile, anche se è difficile immaginare quali brividi erotici possono correre lungo la schiena di un papà che lancia il suo pupo a rotta di collo su un marciapiede. D’altra parte, la Millet non nota abbastanza come i nuovi prodotti gareggino anzitutto in sicurezza: dai freni alle cinture di sicurezze, dai rivestimenti alle imbottiture, dai parapioggia alle cappottine, bisogna rassicurare padri impreparati al compito del fatto che non c’è alcuna possibilità che il figlio si buschi un raffreddore, e che è possibile tenerlo un’intera giornata inchiodato senza scampo, ma con tutti i comfort, al sedile multifunzione del passeggino.
Il passeggino è in effetti un buon esempio di ciò che un’intenzione à la Roland Barthes dovrebbe cercare, applicandosi al nostro tempo: quello che va da sé, e che invece da sé non ci va affatto, se noi tutti non vi aderissimo più o meno spontaneamente. Scrivendo nel 1970 una breve prefazione al libro che lo aveva reso famoso, e che avrebbe a lungo funzionato a mo’ di introduzione alla Francia contemporanea, Barthes illustrava così il suo proposito: condurre una critica della cultura cosiddetta di massa, mostrando come essa si depositi nelle forme, nei segni e nelle rappresentazioni della vita quotidiana. “Il punto di partenza di questa riflessione, era il più sovente un sentimento di impazienza dinanzi al ‘naturale’ di cui la stampa, l’arte, il senso comune rivestono senza posa una realtà che, per essere quella in cui viviamo, non è meno compiutamente storica”. A cinquant’anni di distanza da quel libro, non più immersi nei furori militanti di quegli anni, si può provare a esercitare anche su di esso lo sguardo distaccato e ironico che lo armava: Barthes s’era dato il compito di denunciare l’inconsapevole ideologia piccolo-borghese che ammiccava ieri dalle patatine fritte e oggi dal sushi, ieri dalla nuova Citroen e oggi dai passeggini; noi oggi abbiamo la distanza sufficiente per riconoscere in quella stessa denuncia il debito verso altre forme ideologiche gauchistes, delle quali pure possiamo farci consapevoli soltanto adesso. Con la demistificazione, in realtà, non si finisce mai: parafrasando il noto detto, c’è sempre qualcuno più disincantato di te che demistifica i tuoi incantamenti.
Ma c’è un ma. Torniamo ai passeggini. Siete un giovane padre, vi tocca di badare ai vostri bambini, e di condurli a passeggio nel parco. Siete agguerriti: avete letto Barthes, e avete letto pure Catherine Millet. Cosa fate: lo acquistate o no, un passeggino? Le strategie possibili non sono molte: potete riciclare il passeggino di qualche nipote fattosi ormai grande, potete acquistarne uno su e-Bay semplicemente in base al prezzo, il più delle volte vi terrete quello che vi avranno regalato i nonni, ma in nessuno di questi casi potrete mettervi al riparo dall’ideologia corrente – che corre proprio su quelle ruote gonfiabili o meno, con freni a disco o senza. Potete immaginare un mondo senza passeggini? Al momento, no, per quanto siate consapevoli della storicità dei passeggini, non potete farne a meno. E il ritorno alla natura – cioè: portare a spasso il pargolo tenendolo sempre in braccio – è decisamente sconsigliabile per la vostra schiena. D’altra parte, non siete un ingegnere, e non tocca a voi progettare un passeggino “critico”. C’è da sospettare anche che eventuali passeggini ecosostenibili vi prendano semplicemente per il naso. Niente natura, dunque, ma una rivoluzione, nell’ambito dei passeggini, non è alle viste. Vi domandate allora cosa diavolo avrebbe fatto Roland Barthes al vostro posto, e come oggi si regoli la smaliziata Catherine Millet.
Scrivendo, è forse la risposta. E scrivendo saggi, piuttosto che rigide architetture sistematiche che difficilmente reggono l’urto di una nuova linea di passeggini. Scrivendo con una punta d’ironia, e perfino di sarcasmo: non aveva rivendicato Barthes, licenziando i suoi esercizi di stile, il diritto di vivere pienamente “la contraddizione della mia epoca, che può fare dell’esercizio del sarcasmo la condizione della verità?”. Non vi era già in queste righe l’ammissione sincera della parzialità del proprio punto di vista, e il dubbio che la piena riconciliazione delle cose e degli uomini, cercata nelle pagine del libro, è forse un’utopia?
L’ironia non è l’arma definitiva, ovviamente: ma mette almeno al riparo dalle pretese del “naturale”, oggi così invadente; diversa dal cinismo, che lascia le cose come sono, prova a cambiarle, anche se a poco a poco. E, in verità, posso dire che permette perlomeno di passeggiare con sufficiente distacco, trattenendovi comunque dall’acquistare acriticamente il nuovo megaultrapasseggino, che promette mirabilie.