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Partito democratico e Partito di Dio

Come sarà l’incontro tra il Partito democratico, il Pd, e il partito di Dio, il pD, le due novità della politica italiana degli ultimi anni? Da un lato, il progetto di una nuova forza politica fondata sull’incontro fatale tra cattolici non clericali, disposti a riconoscersi come cittadini in una società pluralista senza superiorità etiche, e laici non laicisti, capaci di confrontarsi con una religiosità che non è un ferrovecchio del passato o una pratica poco urbana da gestire in gran segreto, ma un motore di cambiamento della storia. Dall’altro, la grande ipoteca che la Chiesa italiana ha esercitato grazie alla debolezza della politica, in seguito alla vittoria dell’astensionismo ai referendum del 2005 e grazie al movimentismo del cardinale Camillo Ruini nella fase finale della sua lunga leadership.
Per mesi la Cei ruiniana ha puntato più o meno strategicamente sul fallimento del progetto Partito democratico, mossa dall’idea che si trattasse né più né meno del suicidio politico dei cattolici italiani: imbrigliati in un partito dove sono destinati a essere comunque minoranza rispetto alla maggioranza laica, post-comunista ed ex diessina. E ha battuto sul tasto più debole del nuovo partito in costruzione, quel che restava del cattolicesimo democratico, stretto tra la Quercia, il neo-clericalismo di Francesco Rutelli e dei suoi teo-dem, e la debolezza culturale del prodismo. Vedi il richiamo all’obbedienza destinato a quei politici cattolici che avrebbero votato la legge sui Dico. E la risposta dei sessanta parlamentari della Margherita che si erano impegnati in difesa della laicità della politica: il vero atto con cui si è chiusa la storia del partito rutelliano e si è aperta quella del Partito democratico.
Sono passati alcuni mesi da quello scontro drammatico. La legge sui Dico non è mai arrivata in discussione. La Cei ha cambiato presidente. I cattolici guidati da Savino Pezzotta sono scesi in piazza in difesa della famiglia e per dire: ci siamo. Il Pd non è più una fantasia politologica, ma una realtà con cui fare i conti. L’analisi più ruvida e compiuta è quella del leader della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, che vede nel Pd la fine del cattolicesimo politico, la vittoria definitiva della laicizzazione e della secolarizzazione della sinistra: da Franco Rodano a Sabrina Ferilli, sfortunata testimonial della campagna referendaria di due anni fa.
Un’accusa lanciata sia agli eredi della Quercia sia, soprattutto, ai discendenti della tradizione cattolico-popolare, come Rosy Bindi o Pierluigi Castagnetti, che hanno osato sostenere la transitorietà del ruinismo: Ruini come gli Ixos e il fascismo, una parentesi. Dagli strali di Riccardi, curiosamente, si salva un solo personaggio: Walter Veltroni. Il candidato leader del Pd, secondo lo storico molto amato in Vaticano, in politica è più cattolico di tanti cattolici dichiarati. Non si parla qui di Africa, probabilmente. Si parla di un atteggiamento che discute con la Chiesa senza metterla in discussione, che esalta il ruolo pubblico delle gerarchie ecclesiastiche, come quello di tutte le altre religioni, per la verità, senza mettere confini all’ambito del loro intervento. Mentre invece quei cattolici alla Bindi, sempre desiderosi di motivare le loro azioni politiche con un riferimento all’ispirazione religiosa, finiscono nell’errore opposto a quello del clericalismo: invadono il campo ecclesiale e provocano reazioni negative all’interno della gerarchia.
C’è sicuramente, nella Bindi e in chi la pensa come lei, questo rischio. Ma è la conseguenza di una lunga storia per cui i cattolici democratici hanno dovuto combattere su due fronti: su quello civile, per far passare la loro autonomia dalla Chiesa. E su quello ecclesiale, per far crescere generazioni di laici adulti che non dipendessero dalle indicazioni del clero. Una battaglia durissima: basti ricordare, a proposito di padri nobili del Pd, il cattolicissimo Beniamino Andreatta che si alza in Parlamento per chiedere al Vaticano di restituire il maltolto dopo il crack Banco Ambrosiano-Ior. Sarà un caso, ma dopo quell’intervento Andreatta restò fuori dal governo per più di un decennio.
Nel Pd i cattolici democratici trovano il loro approdo finale, cercato da decenni. Si trovano di fronte un cattolicesimo diverso dal passato: più attivo socialmente, più motivato ecclesialmente, ma interamente privo di rappresentanza politica. Non ci sono nuove leve su cui costruire una classe dirigente. Quelle emerse negli ultimi anni, tipo teo-dem, sono state ricusate perfino da Ruini. Non ci sono serbatoi di pensiero, riviste, cenacoli culturali, né forti movimenti radicati sul territorio. Il pD targato Ruini in questi anni ha fatto il deserto e si vede. Nessun confronto interno, nessuna autonomia intellettuale e organizzativa. Tocca ai politici che vengono da una tradizione ecclesiale fare ancora una volta il doppio lavoro: offrire ai cattolici una rappresentanza politica e al tempo stesso non assecondarne gli istinti che li portano all’isolamento e al clericalismo. Con la complicazione, imprevista, di poter essere scavalcati almeno nella pura rappresentanza degli interessi cattolici da chi viene da una tradizione laica e post-comunista. Per eccesso di zelo o per ecumenismo, per il tentativo di tenere dentro tutto e tutti, il cilicio e il gay pride, Ratzinger e Piergiorgio Welby, Dio e Mammona. Atei devoti, anche a sinistra, anche nel Pd. Sui cattolici nel Pd, insomma, grava la paradossale missione di garantire la laicità del nuovo partito e la sua autonomia dalla Chiesa rispetto agli sbandamenti altrui, che siano dettati dall’opportunismo o meno. A loro il compito di tenere viva anche nel Pd la lezione di Aldo Moro, la politica come principio di non appagamento. Arrivare e non essere mai arrivati, tendere verso quello che non c’è ancora, avere fame e sete di giustizia sempre e non essere mai sazi. Un’ispirazione cristiana, ma anche laica, in tempi di disarmanti sorrisi e di ancor più facili appagamenti. Un pensiero forte in cerca altri pensieri forti: in un Pd che altrimenti rischia di essere la somma di tanti pensieri deboli, non-pensieri.