Il mistero della festa

Un’operazione di marketing religioso, si dice. E si storce il naso. Un’operazione di marketing monarchico: quella sì. Quella fa due miliardi di spettatori, e va benone. E le operazioni di marketing politico ed elettorale: neanche si discute. Sono all’ordine del giorno, e ci mancherebbe pure che qualcuno ancora se ne scandalizzi. E siccome anche il sistema dell’arte, da Andy Warhol in poi, non si può dire che abbia tenuto i mercanti fuori dal tempio, abbiamo il sistema completo dello spirito assoluto (arte, religione, filosofia) riproposto secondo le più aggiornate tecniche di mercato.
E con ciò? Qual è il punto? Si tratta forse del fatto che per il sentimento della fede si vorrebbe qualcosa di più autentico? Non è sufficiente che, al momento della celebrazione della messa, si dica dai microfoni che non è più il caso di applaudire, perché si fa sul serio, si eleva davvero il Papa sugli altari? Ma cosa vuol dire? Che il mercato, che le sue strategie di vendita falsificano e corrompono? Se è per criticare il mercato, però, facciamolo per bene (tanto lo sappiamo che non è per quello). Perché non ci sono «cose» che, in quanto tali, possono sottrarsi alla sua logica – fossero pure la santità o la maestà, per parafrasare Kant. Viviamo infatti in un’epoca in cui pure quelle devono sottoporsi all’«esame libero e pubblico» dei mercati. Se non fai merchandising, insomma, non fai nulla. E se quindi critica ha da essere, forse è meglio indirizzarla altrove.
Proviamo allora con Giovanni Paolo II fenomeno mediatico. Papa Wojtyla, insieme a Padre Pio, come marchi di punta della Chiesa cattolica (coi miracolati in posizione di testimonial). Per quelli che esaltano l’eroismo morale del Papa polacco, si deve dire che no, Wojtyla non è stato soltanto un fenomeno mediatico. Per quelli che invece vorrebbero diminuirne la grandezza, si tratta piuttosto di spiegare la devozione popolare e i milioni di credenti che invadono Roma come un caso riuscito di customer satisfaction. Si parla allora della straordinaria abilità comunicativa del Papa, di un carisma fatto apposta per il tubo catodico, come se poi il carisma non fosse comunicativo di suo. Come se essere carismatici non volesse dire proprio essere comunicativi. Ma in un caso e nell’altro, per esaltare o per abbattere, si classifica l’aspetto mediatico della faccenda fra le cose che non valgono.
Ma perché? Perché non dovrebbe valere? Ci son santi che tengono la breccia da diversi secoli: mica come il pantheon che il Pd ha provato a inventarsi. Certo, se è lecito un dubbio, l’impressione è che anche la Chiesa, con Madre Teresa, Padre Pio e Karol Wojtyla, stia immettendo troppi marchi sul mercato, come se si temesse per il ciclo di vita del prodotto. Ma resta che la santità religiosa come fenomeno mediatico funziona, in tutto e per tutto: dalle prime reliquie fino agli ultimi ex voto. È anzi la migliore smentita, pratica e teorica, dell’idea che figure costruite mediaticamente non valgono (e c’è mai, al giorno d’oggi, un altro modo di costruire figure?). In realtà valgono eccome. E valgono (e durano) soprattutto se si identificano con il canale (nel caso di specie: di comunicazione con l’Altissimo, la mission della Chiesa cattolica). Di nuovo, il paragone con la capacità di produzione simbolica della politica è stridente: non perché non ci siano figure carismatiche, ma perché ormai sembra che possano affermarsi solo a scapito dei partiti che le mettono in pista. Un po’ come se Ratzinger sparlasse della Curia sul sagrato di san Pietro.
Cosa resta, allora, per la critica? Se Wojtyla sia stato un sant’uomo no: questa è materia di pertinenza della congregazione per le causa dei santi. Se Wojtyla sia stato un protagonista più o meno controverso della storia del XX secolo nemmeno: perché l’acribia storica non si esibisce nei giorni di festa, senza con ciò confessare che a interessare davvero è allora solo la sua esibizione, cioè la sua mediatizzazione. Quanto a quegli stessi giorni di festa, sono pure loro giorni esemplari. Non c’è civiltà umana che non abbia avuto, infatti, il suo tempo festivo.
Ecco perciò quel che resta: un esame critico di come si costituisce l’esemplarità delle opere e dei giorni, e si costituisce grazie ad essa l’ordine pubblico di ciò che è più importante e più visibile (visibile perché importante, e importante perché visibile). La Chiesa cattolica, lei, fa la sua parte: santifica, celebra, commemora. E gli altri? Perché non c’è solo la beatificazione a piazza San Pietro: c’è pure, il primo maggio, la playlist del concertone di piazza San Giovanni, e l’idea, fattasi prepotentemente largo a sinistra, che l’unico modo di vendere (se stessi) sia quello di svendere (tutto il resto). Orbene, da qualunque parte lo si guardi, tutto sembra meno che il miglior brand management. Innanzi tutto per la politica e per i partiti, ma soprattutto per la sinistra, e per il Pd (per Veltroni o Renzi non saprei).