L’ideale romantico del centrosinistra

“Allora, questa macchina del tempo, come funziona? C’è bisogno che io sia nuda per farla funzionare?”. “Eh sì, è un vero problema, i vestiti non viaggiano nel continuum spazio-temporale”. Non è l’approccio di due ventenni al primo appuntamento. Avrebbe potuto esserlo, se solo fossimo in un altro decennio. È la scena con cui si conclude Prima di mezzanotte, l’ultimo capitolo della trilogia di Richard Linklater. È il momento in cui i due protagonisti cercano di tenere assieme un rapporto che in diciotto anni ha vissuto varie fasi, ma che ora sta palesemente perdendo i pezzi. È l’estremo, faticoso tentativo di far andare avanti le cose, l’amore, la vita, facendo finta che negli ultimi vent’anni non sia successo di tutto.

Quando le soluzioni scarseggiano, infatti, c’è sempre qualcuno che arriva con quell’idea geniale di fare come quella volta – ti ricordi nel ’94! – quella volta, s’intende, che ha funzionato. O anche no, poco importa: avere un’idea che non ha funzionato è sempre meglio di non avere alcuna idea. Che siano uomini a corto di espedienti per rimorchiare o proposte economiche del centrosinistra non fa molta differenza.

È solo che nel caso di Jesse e Celine, come raramente accade nella vita, abbiamo la possibilità di ripercorrere la loro relazione con un’esattezza a dir poco scientifica. Perché i tre film, scritti e prodotti a nove anni di distanza l’uno dall’altro, tracciano spietatamente l’andamento effettivo della loro storia (e della nostra), attraverso vent’anni di crisi mondiali e sentimentali che hanno tagliato le gambe all’intero pianeta, figuriamoci a due che nel ’94 credevano ancora nell’amore platonico. E se è appena rinata Forza Italia, non stupisce che Jesse, per tenersi stretta Celine, le proponga un romantico salto nel tempo, per tornare a come erano quell’estate del ’94 in cui tutto pareva ancora possibile. Peccato che nel frattempo siano passati venti anni e lei abbia più chili, più rughe e assai meno voglia di stare ad ascoltare lo spaccone di turno. Come non capirla.

Ethan Hawke e Julie Delpy appaiono per la prima volta nei panni dei due protagonisti in Prima dell’alba e subito diventano per i ventenni di allora uno straordinario ideale romantico a cui aspirare. E non avrebbe potuto essere altrimenti. Lui americano, legnoso e sognatore. Con una certa tendenza a parlare di sesso, ma dal cuore indubbiamente tenero. Lei francese, intellettuale e un po’ alternativa. Con grandi progetti per il futuro e idee poco chiare su come realizzarli. Sono giovani, impulsivi e svergognatamente naïf. Si incontrano per caso su un treno e decidono di passare assieme – da sconosciuti – una notte a Vienna, prima di ripartire all’alba. È una pazzia, ma può funzionare. O forse, semplicemente, hanno solo tanta voglia di credere a quello che si stanno raccontando. Di fatto – questo avrebbe dovuto insospettirci fin da allora – passano l’intero film a parlare, a raccontarsi, a piacersi, senza mai fare davvero sul serio, perché per carità, se poi ti impegni rovini tutto, vuoi mettere tutta questa libertà, che bellezza? Non sia mai che poi tu debba rendere conto a qualcuno, telefonargli addirittura, accettare regole e supervisioni sulla tua vita. Non scherziamo. Il mercato delle relazioni sentimentali è già così difficile, senza complicare il pane. Anche per questo, soprattutto per questo, Celine è sempre angosciata dall’idea che quel ragazzo la obblighi in qualche modo a fare delle scelte che minino la sua indipendenza di donna e di essere umano, tanto da arrivare a un certo punto a stabilire che lei con quel tipo – che, ricordiamo, corrisponde alle fattezze di Ethan Hawke – non ci sarebbe andata neppure a letto. Lui è simpatico e un po’ guascone, ma di certo sa dove vuole arrivare e ha perfino una vaga idea di come arrivarci. Se alla fine abbiano davvero concluso non è mai stato del tutto chiaro, il dibattito è ad oggi ancora aperto. Gli stessi due protagonisti nel capitolo seguente non sciolgono completamente l’interrogativo, convinti ognuno della propria versione dei fatti. E poi c’è chi si lamenta ancora del dibattito sulla bicamerale.

Ora, va detto che nonostante il rigore teorico delle loro posizioni, non è che la linea non mostrasse qualche falla già negli anni novanta. Basti pensare che si salutano in stazione senza lasciarsi né numeri di telefono, né recapiti a cui rintracciarsi, dandosi solo un vago appuntamento sei mesi dopo, confidando che il destino li avrebbe fatti re-incontrare esattamente lì dove si erano salutati. Probabilmente temendo che i lacci e i lacciuoli delle linee telefoniche li avrebbero talmente spaventati da costringerli ad abbandonare qualunque investimento nel domani. Cosa che peraltro succederà comunque.

Entrambi scommettono su un futuro ipotetico senza alcuna rete di protezione, senza preoccuparsi di lasciarsi neppure un pezzo di carta con annotati i loro nomi, non diciamo un contratto a tempo indeterminato, ma neanche un post-it scritto a matita. E se il mondo fosse andato come va solitamente, nessuno sarebbe andato a chiedere loro conto delle promesse che si erano scambiati nel 1994. Ma le strade del cinema sono evidentemente più sottili e imprevedibili dei programmi di risanamento economico dei governi. E così, nove anni esatti più tardi, con accurata perizia, Linklater decide di girare il sequel del film: Prima del tramonto.

A quel punto, Jesse è diventato uno scrittore affermato, pubblicando – perché indubbiamente nel ragazzo c’è del genio – la storia del loro amore perfetto sulla carta, un po’ meno alla prova dei fatti. È lì, infatti, che scopriamo che i due non sono più riusciti a incontrarsi e che non avendo alcun contatto l’uno dell’altra non si sono – chi l’avrebbe mai detto? – più potuti rintracciare. Qualcuno potrebbe definirli gli inevitabili imprevisti del libero mercato, di certo a un occhio meno esperto appare come una sconfinata stupidità. Nel frattempo, però, la globalizzazione è giunta fino a noi e Celine ha così scoperto che Jesse è nella sua stessa città, Parigi, per la presentazione del suo libro. E siccome intestardirsi a ripercorrere sempre le stesse strade è parte integrante della genetica degli innamorati immaginari, oltre che di certi economisti che scrivono sui giornali, decide di andare a vedere cosa ne è stato di quell’amore mai veramente realizzato fino in fondo.

Non c’è nulla che abbia la forza attrattiva di tutto ciò per cui dici a te stesso (e magari al mondo intero) che non era sbagliato in sé, che è stato solo applicato male. Così i due vanno a prendere un caffè e poi fanno una passeggiata e poi – indovinate un po’? – passano l’intera giornata a parlare, a raccontarsi, a spiegarsi. E stavolta, perlomeno, anche a dirsi tutti quegli inutili dettagli che la volta precedente avevano deciso di trascurare. Cose come nomi, cognomi, città di residenza e perfino – roba da matti – i rispettivi stati civili. Anche perché quei piccoli particolari nel frattempo sono diventati un po’ meno irrilevanti, visto che Jesse si è sposato e perfino riprodotto. Tanto che per un attimo viene quasi da pensare che finalmente abbiano imparato la lezione, che questa volta sarà diverso. Ma la verità è che quando hai ripetuto per anni la stessa versione dei fatti non è facile poi ammettere che forse avevi torto, che magari c’era un’altra strada meno facile, meno idealista, meno romantica, ma più sensata e in definitiva più giusta. E quindi trascorrono l’intera giornata in bilico su quella sottile linea che passa tra il dirsi “abbiamo fatto una cazzata, cerchiamo di rimediare” e l’ossessivo ripetersi che “ormai abbiamo preso degli impegni che non possiamo disattendere”. Chiaramente, anche il secondo film lascia un finale aperto e ancora una volta per sapere come è andata a finire dobbiamo aspettare nove anni. Praticamente quanto una sentenza del Tar.

Nel terzo capitolo della trilogia, Prima di mezzanotte, siamo nel 2012, in Grecia. Ossia nell’esatto epicentro della crisi: quella globale e quella sentimentale. È qui che si scopre che effettivamente quel giorno – nove anni prima – si sono messi insieme e, incredibilmente, insieme sono anche rimasti. Ma ora con un figlio che vive in America, una ex moglie che fa loro la guerra, due gemelle da crescere, la vita di coppia – sorpresa – non è esattamente come l’avevano immaginata. D’altra parte, l’economia reale non è mai stato un pranzo di gala. È lì che si svolge la discussione più vera, e dunque più drammatica, che abbiano mai avuto in questi anni. Celine, frustrata da una vita che ritiene ingiusta e castrante, si appiglia a qualunque sciocchezza pur di dare addosso a Jesse, che ha l’unica imperdonabile colpa di essere diventato uno scrittore di successo, oltre a quella di essere un tipico maschio della nostra contemporaneità. Jesse non è un fulmine di guerra, ma come sempre ha almeno il merito di prendere atto della realtà e di cercare di metterci una pezza: “Questa è la vita vera, non è perfetta, ma è vera”.

Naturalmente – giacché si tratta del terzo film della trilogia – il finale lascia aperta ogni possibilità. E quindi non sapremo mai se Jesse riesce infine a convincere Celine a non lasciarlo. Ma non si può dire che stavolta la situazione non sia oltremodo chiara. Contrariamente a quel che si dice, infatti, le crisi sentimentali – esattamente come quelle economiche – sono spesso ampiamente prevedibili, e dunque è difficile non vedere che i due siano infine diventati vittime del loro stesso fanatismo ideologico. E ogni ideologia, di qualunque genere sia, porta sempre a qualche tipo di fine ingloriosa. Certo, Celine e Jesse erano poco più che ventenni quando hanno imboccato la strada di un certo liberismo sentimentale. Ma quel che era ragionevole e comprensibile pensare negli anni novanta, poteva magari avere un senso continuare a sostenerlo nel 2003, di certo sarebbe imperdonabile crederlo ancora oggi. Perché, per quanto possa apparire singolare, per non dover porre rimedio sempre agli stessi problemi – che sia un rapporto sentimentale, un programma economico o un sistema elettorale – è necessario, talvolta sufficiente, smettere di commettere sempre gli stessi errori.