Il potere di una virgola

Cara Left Wing,
qualche settimana fa hai pubblicato il solito bel pezzo di Andrea Vigani. Parlava di un libro, East West Street di Philippe Sands, che a sua volta racconta di come sono nati ed entrati nella giurisprudenza internazionale i concetti di crimini contro l’umanità e genocidio. È una storia incredibile e un libro magnifico, di cui ha già scritto quasi tutto Andrea. Quasi, perché c’è un episodio che lui, credo per motivi di spazio, non cita e al quale penso da giorni.

Te la faccio breve: a un certo punto i team legali delle quattro nazioni giudicanti (Usa, Gran Bretagna, Francia e Russia) si scornano su un punto e virgola che sta in mezzo al paragrafo 6c dei capi di imputazione (stiamo parlando del processo di Norimberga, non proprio Vallettopoli). Un punto e virgola che prima c’è e poi non c’è più, sostituito da una virgola. Non erano dei grammar nazi, quegli avvocati (i nazi, peraltro, c’erano: prima e dopo quel punto e virgola); era, piuttosto, gente che dava alle parole e ai segni l’importanza dovuta. Non starò a tediarti con le questioni legali, che – lo ammetto – ho capito fino a un certo punto: sta di fatto che se quel punto e virgola restava, allora venivano giudicati anche tutti i crimini commessi prima del 1939, prima dell’inizio della guerra, quella fatta di eserciti, aerei, carri armati; ma se quel punto e virgola veniva sostituito dalla virgola, allora tutto quel che era successo negli anni Trenta sarebbe stato escluso dal processo.

Se ti fermi a pensarci su un momento, è una cosa enorme. Centinaia di migliaia di incarcerazioni, i primi campi di concentramento, le prime deportazioni, l’Anschluss, le basi dello sterminio di milioni di persone: dentro o fuori, per un punto e virgola. O una virgola. Che poi uno dice: «Beh, quel che venne fatto dal ’39 in poi era abbastanza per fare il processo». Ma vallo a dire a chi perse tutto, vita inclusa, nel 1935.

Comunque. Perché ti sto raccontando questa cosa? Perché magari capita anche a te: capita che ogni tanto senti qualcuno parlare ed è subito Moretti – le parole sono importanti! e giù schiaffoni alla poveretta che gli sta vicino (cosa che a Nanni non ho mai perdonato: aveva ragione, ma io ero innamorato di Mariella Valentini). Alla fine uno si stufa pure: quante volte bisogna ripeterlo che si deve stare attenti a quel che si dice, a come lo si dice, a quando e a chi e dove lo si dice? Mai abbastanza, sembra. E invece ogni giorno il Padreterno ci dona il nostro Berdini quotidiano, uno che altro che segni di punteggiatura e pause nell’eloquio, uno che, vittima della sua stessa incontinenza, finisce per trovarsi nella carta moschicida delle smentite, delle ritrattazioni, dei «non volevo dir questo» e «era una conversazione privata» – e io mi vedo la scena di Berdini seduto su una panca, e al suo fianco il generale Iona Nikitchenko (era il capo dei giudici russi, se ti interessa: una faccia che Davigo gli avrebbe chiesto pietà a prescindere), e questo lo guarda, lo guarda ancora, poi fa una smorfia di disgusto, si alza e se ne va.

Post Scriptum. Alla fine misero la virgola. Questioni legali, e politiche; ma non è che ti possiamo dire tutto Andrea e io: leggi il libro, ne vale la pena.