Un Report a rovescio

Da qualche giorno, a dar retta ai titoloni, in politica ci si lamenta dei media e nei media ci si prepara al martirio. Ma di martiri veri della libertà di comunicazione nei decenni trascorsi ne abbiamo conosciuti solo tre, Santoro, Luttazzi e Biagi, quando Berlusconi ne pretese la esclusione dal video, appoggiato, a dire il vero, da quella metà del Paese che non li sopportava mentre l’altra li adorava. Dopodiché, Biagi ci ha lasciato, Santoro è stato rimesso in video da un giudice e Luttazzi ha inguaiato Campo Dall’Orto quando questi, un po’ kamikaze, provò a ridarlo al pubblico della sua La7 di anni fa.

Dopo d’allora stop, anche perché nel frattempo è arrivata la Jacquerie dei moderati, fusi per l’occasione con i diseredati; il Paese è divenuto tanto vittimista quanto indulgente con se stesso; tutti, altro che anticonformismo, hanno preso a lisciarlo per il verso del pelo dandogli da ringhiare contro la Casta, la Ue, gli immigrati e sotto a chi tocca. Così tutto l’infotainment è divenuto non ricerca del problema, ma “caccia al colpevole”, quella struttura narrativa a portata di neonato e che a produrla costa quattro soldi. Una manna per l’intrattenimento affidato ai fichi secchi delle chiacchiere. E i censori, quelli veri de’ core, tengono le forbici nel cassetto perché il moderato incazzato e i media che lo coccolano sono il massimo del tartufismo reazionario che possano auspicare.

In queste condizioni l’unica preoccupazione degli autori dei programmi dovrebbe essere di non farsi male da soli. Come invece è successo lunedì sera per due volte a Report. Prima su Cinecittà, il problema in cui si annodano i serissimi limiti strutturali della produzione cinematografica italiana. E qui ci si è persi fra le parole non mancando (col solito, abusato, agguatino stradale) di prendersela col povero Benigni, che di soldi nei grandi studi ce ne ha rimessi dei suoi e non pochi. Poi, cambiato argomento, è stato montato al contrario il servizio sul controllo degli effetti collaterali di un vaccino sicché ha sparso diffidenza per il 95% del tempo e solo nel finale è riuscito a pronunciare le parole giuste: «Controlliamo di più per vaccinarci più serenamente». Troppo tardi per non avere sostanzialmente ingannato i tanti che, come regolarmente accade, avranno seguito solo l’incipit e il corpo centrale.

Perché la tv, cari amici, si sviluppa nel tempo, e non sta tutta in un foglio.