Su Vivendi-Tim servono risposte chiare

Bene ha fatto il governo ad avviare l’istruttoria formale per verificare l’eventuale attivazione dei Golden Powers dello Stato circa le attività critiche e strategiche svolte da Tim nel settore delle comunicazioni. L’avvio di una vera e propria istruttoria è a mio avviso un atto dovuto, che ho sollecitato nei giorni scorsi, alla luce di una serie di controverse decisioni e comportamenti posti in essere da Tim e dalla sua proprietà in questi mesi. A cominciare dalla fine, e cioè dalla recente acquisizione del controllo in Tim da parte di Vivendi, sancita dalla Commissione europea e “trasformata”, nell’ultimo cda di luglio, nell’acquisizione anche della Direzione e del Coordinamento della attività di Tim.

Tanto la formalizzazione del controllo (quante volte negata nei mesi scorsi da Vivendi!) quanto l’esercizio della direzione e del coordinamento su Tim da parte di Vivendi, che a questo punto assume le sembianze di una vera e propria “capogruppo”, avrebbero già dovuto essere oggetto di una notifica al Governo, secondo la norma sui Golden Powers, così come le modifiche degli assetti di vertice, in quanto atti che incidono in modo penetrante sui piani organizzativi, finanziari, industriali e occupazionali dell’azienda. Dall’interlocuzione trasparente tra azienda e Governo su quelle scelte e sui loro effetti concreti, in un settore, ricordo, critico e strategico, deve emergere l’adeguatezza o meno delle decisioni aziendali a contemperare gli interessi degli azionisti con gli interessi pubblici che la normativa sui Golden Powers tutela.

Dal punto di vista della governance, infatti, l’assunzione anche della Direzione e del Coordinamento delle attività di Tim comporta il venire alla luce di un livello più alto di allineamento di interessi tra la stessa Tim e il gruppo che ne esercita il controllo, al punto da chiamare potenzialmente il gruppo ad azioni di responsabilità ai sensi degli art. 2497 e ss. del Codice civile. Se, da un lato, ciò offre garanzie addizionali agli azionisti di minoranza, dall’altro pone il tema di comprendere come si debba governare, per le attività strategiche nel settore delle comunicazioni oggetto di Golden Powers, l’articolazione tra Governo, Vivendi e Tim.

Un primo tema da chiarire riguarda le risorse finanziarie dedicate agli investimenti infrastrutturali finalizzati all’ammodernamento e alla manutenzione dell’unica rete fissa nazionale capillare, impiegata tanto dai privati quanto da amministrazioni ed enti pubblici per tutta una serie di attività, incluse quelle dedicate alla sicurezza. Vengono confermati i piani di investimento pre-esistenti? Alcune attività connesse a un profilo di media company, qual è Vivendi, come la costituzione di una joint venture Tim-Canal Plus, attrarranno risorse di Tim destinate ad altre tipologie di investimento? Che tipo di coordinamento eserciterà questo tipo di attività con la partecipazione di minoranza rivestita da Vivendi in Mediaset, contestata a sua volta dall’Agcom perché ritenuta in violazione della normativa di settore? Come si articoleranno, nel nuovo piano industriale, le risorse umane oggi impiegate nelle attività relative alla rete telefonica e ai servizi fissi e mobili? Quali attività e quali investimenti saranno confermati a Sparkle e alle reti internazionali a essa affidate? Come si dispiegheranno gli investimenti di Tim Spa nelle aree individuate dal piano Banda ultra larga del Governo? Continuerà in questo ambito la strategia conflittuale che ha opposto nei mesi scorsi l’azienda al Governo, dopo l’assegnazione delle prime due gare?

Sono queste alcune delle questioni che meritano risposte chiare. Negli ultimi sei mesi Vivendi ha subito serie contestazioni ed è stata chiamata dalla Commissione europea, dall’Antitrust italiano, dall’Agcom e dalla Consob a fornire risposte e impegni. Tutte authority, ricordo, che vigilano a tutela degli assetti concorrenziali del mercato. L’insieme di queste criticità maturano nel seno della principale azienda di comunicazione italiana, il “campione nazionale” che gestisce la rete di comunicazione fissa, assicurando lo svolgimento di attività strategiche per l’Italia. La scelta dell’esecutivo permette di aprire un dialogo istituzionale formale, nel corso del quale il Governo italiano potrà discutere con gli azionisti e con l’azienda che detiene quell’infrastruttura critica, per capire, una volta per tutte, se abbia senso scorporarla dal “campione nazionale” o se occorra invece immaginare soluzioni industriali e finanziarie diverse, che non pregiudichino le opportunità di crescita e la proiezione internazionale di Tim. E potrà verificare se le strategie degli azionisti francesi siano o no adeguate e corrette rispetto agli interessi pubblici da tutelare e se sia auspicabile rafforzare l’intero quadro chiedendo ad altri azionisti, italiani o stranieri, pubblici o privati, di fare la loro parte, anche al fianco di Vivendi, in una partita così importante per il futuro del paese.