Il problema politico della decenza

Sono vent’anni che una corte di nani e ballerine si muove con alterne fortune sulla scena politica italiana, ed è ancora Rino Formica, che bollò con quest’espressione l’Assemblea nazionale del Psi, nel lontano 1991, a spiegare le cose come stanno: “Immaginate di stare in un salotto in cui non si ha nulla da dire. La serata non può che finire a barzellette, l’unico modo possibile per riempire quel vuoto imbarazzante e far contenti tutti. Ecco, Berlusconi vince alla stessa maniera”.
Prima o poi, però, accadrà il contrario: che Berlusconi racconterà una barzelletta, e attorno si farà un vuoto imbarazzante. È difficile stabilire se questa sia la volta. O se sarà la storia della fidanzata di Berlusconi, novella Pompadour, a diventare una barzelletta, o ancora (o peggio) se lo diventerà o non lo sia già diventato il paese intero. E anche se non è ipotizzabile, purtroppo, che sia la corte del presidente del Consiglio a chiedergli di smetterla con le barzellette (e le ballerine), si può già temere che l’imbarazzo possa trasparire anche nelle prossime uscite pubbliche del nostro primo ministro, specie all’estero.
Qui da noi non si sa ancora bene come prendere questa vicenda. Repubblica, per esempio, non ha ancora deciso se nascondere dietro pudichi puntini sospensivi i riferimenti di Ruby alla parte che lei avrebbe nei (e offrirebbe ai) desiderata del presidente, sicché in una pagina offre la piccante rivelazione, in un’altra invece glissa con più eleganza. Il Giornale, dal canto suo, dice che “manca qualsiasi evidenza di rapporti sessuali con la minorenne marocchina”. Manca la prova televisiva, insomma, e conveniamone: che questa evidenza non ci sia è una fortuna, per la decenza di Ruby, di Silvio e dell’Italia intera.
Perché è la decenza a essere anzitutto in pericolo. Ed è in pericolo sia che abbiano ragione gli avvocati di Berlusconi (siamo di fronte alla lesione di diritti fondamentali, dicono, a un’inchiesta spionistica, al complotto di certa magistratura, a una persecuzione, al tentativo di sovvertire il voto popolare per via giudiziaria), sia che invece abbiano torto. Non sfugge infatti a nessuno che il ruolo del primo ministro – come quello di qualsiasi leader occidentale, e a differenza, forse, di quello di Putin o di Gheddafi – non è compatibile, sul piano della decenza (dell’opportunità e del decoro istituzionale), né con le telefonate notturne in questura né con le frequentazioni di minorenni alle quali pagare l’affitto. Punto e basta. Su questo si dovrebbe essere tutti d’accordo, anche se l’inchiesta dovesse essere mossa da intenti biecamente persecutori. Questo sarebbe senza dubbio un altro, enorme problema, ma non dovrebbe modificare in nulla il nostro giudizio sul contegno che un uomo pubblico con le responsabilità di Berlusconi dovrebbe tenere.
Un piccolo periodo ipotetico del terzo tipo lo può dimostrare, con tutta l’evidenza (non filmica ma razionale) che si può desiderare. Se dalle intercettazioni venisse fuori che al bunga bunga partecipano anche il presidente della Repubblica, quello del Senato e quello della Camera, nonché tutte le alte cariche dello Stato, diremmo ancora che sono solo affari loro? E può Arcore avere la dignità e il prestigio dell’osteria numero uno?
Certo, si può bollare tutto questo come ipocrisia. Philip Roth ci ha aperto un suo gran libro, La macchia umana, con l’orgia colossale di bacchettoneria e di purezza, “nella quale al terrorismo come minaccia prevalente subentrò, come dire, il pompinismo”. Erano gli anni della relazione fra Bill Clinton e Monica Lewinsky, e l’America andò in piena “estasi di ipocrisia”. Ma l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Un omaggio necessario, specie in democrazia, proprio per salvaguardare quegli spazi privati che il presidente sostiene essere stati indebitamente violati. Altrimenti non si capirebbe perché egli stesso tenga a farsi rappresentare – per esempio sulla copertina di Chi – come un buon padre di famiglia. Che cos’è questa, se non l’immagine pubblica della sua vita privata? Di questo dunque si tratta: non della sua vita privata, ma dell’immagine pubblica di questa vita, la quale, in quanto è pubblica, non appartiene solo a lui. Ad essa, del resto, Berlusconi ha dedicato in passato grandissima attenzione, com’è giusto che sia. E come occorre che faccia anche adesso. Le ipotesi di reato, infatti, non rilevano, almeno in questa sede. Quel che rileva è se Berlusconi abbia o no ancora la possibilità, essendo sempre più difficile negare fatti e circostanze, di rivendicare la propria immagine – come del resto ha fatto quando Veronica Lario ha reso note certe sue debolezze. È vero, ha detto, mi piacciono le donne. Al punto in cui si è giunti, è però quasi impossibile che basti una così innocente dichiarazione. E sarebbe anche ora che alla donne non piacesse più il modo in cui il presidente invita gli italiani a rappresentarsele. Questo è l’affare dell’opinione pubblica, di quella legge “filosofica”, rimessa cioè al giudizio dei cittadini, che agli occhi di un liberale come Locke dovrebbe valere quanto la legge civile e penale, e che nel nostro paese subisce da troppi anni offese di ogni genere.
Quanto all’altro problema, al vuoto che da anni le barzellette riempiono, quello è invece l’affare della politica, e soprattutto delle opposizioni, che dovrebbero riprendere in mano il gioco. Almeno si spera.