Il dicotomico Salvati

Oscar Giannino glielo aveva chiesto in maniera diretta: caro Salvati, accetta. Per “non lasciare che tutti o la maggior parte di chi indica quella prospettiva (la nascita di una grande forza riformista, ndr) trovino accoglienza solo nella Margherita”. Ma lui alla fine ha deciso che no, coi Ds non si candiderà. E ha affidato a una lettera al Corriere della sera la spiegazione del perché. Tirando in ballo Max Weber e le sue due bellissime lezioni sul lavoro intellettuale come professione, tenute alla fine del 1918, poco prima di morire. Di quei due testi ha utilizzato il concetto di Beruf che significa – secondo la traduzione luterana – “professione”, ma anche “vocazione”. Salvati afferma di essere vocato per la politica ma che la sua professione è un’altra. Continuerà sì a interessarsene, ma lo farà nel modo che gli è più congeniale, cioè servendo – visto che stiamo parlando di Weber – il demone che gli ordina di scrivere saggi ed editoriali per il Corriere. E forse è meglio così: il Weber politico fu poca cosa se confrontato con il padre della sociologia e con il filosofo. Sua moglie, che ne ha scritto una biografia pregevole, ricorda come tuttavia Weber stesso vivesse con assoluta tragicità questa dicotomia tra teoria e prassi. La stessa dicotomia che – ne siamo persuasi – anche Salvati, pur non essendo il padre della sociologia, vive sulla sua pelle.