Gianni Consorte va in tv

C’ è un tempo per tutto, dice la Bibbia, uno per seminare e uno per raccogliere. Ma è noto che quando si tratta di vicende giudiziarie, in Italia, soprattutto se esse riguardano protagonisti di vicende finanziare messi alla berlina dai poteri cosiddetti “forti”, allora il tempo dell’accusa e della distruzione d’immagine è infinito. Quello della confutazione delle accuse e della riabilitazione piena, al contrario, non viene mai. O meglio, talvolta viene pure. Ma in ogni caso solo quando ormai i tempi del mercato e della vita pubblica sono andati tanto oltre, che alla riabilitazione non può più seguire alcuna conseguenza se non la tardiva soddisfazione di fatto dell’ingiusto accusato, alla quale però in nessun modo può seguire il ripristino delle operazione finanziarie intanto sventate, sotto i colpi dell’offensiva mediatico-giudiziaria.
Per quel che ci riguarda e per come la pensiamo – e lo abbiamo scritto molte volte, un anno fa, mentre le vicende erano in corso – si tratta esattamente di ciò che è avvenuto nella vicenda che ha riguardato Giovanni Consorte e Unipol, nella cosiddetta “estate dei furbetti”. Mesi e mesi di bombardamento mediatico fondato sulla triplice accusa di essere collegato in una regia unica ai vertici della Bpi nella scalata ad Antonveneta, a Ricucci in quella a Rcs, ancora alla Bpi nella tentata Opa obbligatoria a Bnl. E poi le accuse personali di ricettazione e irregolare applicazione dello scudo fiscale, per le quote di intermediazione riconosciute a Consorte e Sacchetti nella cessione al prezzo stratosferico che Tronchetti Provera decise allora di pagare per le quote detenute da Bell e Hopa in Olimpia, per il controllo di Telecom Italia.
I tempi dell’operazione-verità iniziano però – forse – a essere maturi. Tanto, l’acquisizione di Bnl da parte di Unipol è svanita, e i malcerti assetti del capitalismo italiano si sentono oggi assai meno sotto attacco. Anche se la malconcia Telecom di Tronchetti è stata costretta omai anch’essa a rifugiarsi all’interno del vecchio “recinto di tutela per malati e incurabili” messo in opera da Mediobanca. E se Montezemolo ha dovuto intanto cambiare significativamente toni e linguaggio, per non vedersi ritirare la fiducia da una base sempre più riottosa di fronte ai regali alla Fiat e pochi amici compresi in una finanziaria altrimenti assai meno generosa, verso l’impresa. Allo stesso Corriere, il dominio mielesco scricchiola, rispetto alla riuscita campagna svolta all’insegna del “come ti erudisco gli azionisti a difendere la propria cadrega”.
Per tutti coloro che fossero interessati a capire finalmente qualcosa di più e di meglio, rispetto alla lontana eco ancora viva e bruciante delle tante accuse risuonate per mesi contro Consorte, l’appuntamento iniziale è per la prossima puntata di Matrix. Enrico Mentana, se l’indiscrezione è come crediamo fondata, dovrebbe essere il primo ad aprire finalmente le porte della propria trasmissione a un lungo confronto sulla vicenda senza esclusione di colpi, ospitando però il diretto interessato, e non solo chi lo ha accusato di essere uno dei grandi motori di tutto ciò che in Italia occorreva arrestare: non solo in Borsa, ma anche di fatto. Siamo curiosi di constatare se e quando Consorte davvero avrà modo di spiegare le proprie ragioni. Visto che le accuse hanno avuto mesi e mesi e tonnellate di piombo giornalistico a disposizione per dispiegare i propri veleni, certo non c’è modo di dare esaurienti spiegazioni nel giro di cinque o dieci minuti.
Per quanto conosciamo direttamente delle carte delle indagini e delle risultanze dei molteplici accertamenti di autorità di mercato e di settore compiute nel frattempo intorno ad ogni passaggio della vicenda, segnaliamo qui a chi legge solo alcune delle tante incongruenze che la stampa sinora si è ben guardata dal comunicare con rilievo almeno appena appena paragonabile al massacro mediatico di Consorte realizzato nel 2005.
Su Antonveneta, sia le intercettazioni a disposizione dei magistrati sia l’incidente probatorio a carico di Fiorani e di Boni confermano che Unipol aveva solo un interesse industriale in Antonveneta, tanto da aver assunto contatti anche con gli olandesi di Abn Amro; che mai Consorte e Sacchetti abbiano trattato e detenuto titoli Antonveneta; che in nessuna telefonata intercettata di Consorte l’oggetto abbia riguardato mai neppure lontanamente Antonveneta; che tutto ciò conferma l’esclusione di Unipol dal “concerto” per Antonveneta, come già riconosciuto dalla Consob nel maggio 2005; che i finanziamenti della Bpl a Consorte e Sacchetti erano a tassi di mercato con deposito titoli a collaterale e poi interamente restituiti; che le operazioni in derivati di Consorte e Sacchetti – come confermato da Boni ai magistrati – erano regolari operazioni di mercato con premi pagati da primarie istituzioni finanziare. Tutto ciò è stato confermato sia dall’ispezione ordinata da Unipol a Deloitte dopo l’estromissione di Consorte, sia dall’ispezione che l’Isvap ha retrospettivamente compiuto ricostruendo le operazioni.
Quanto all’intermediazione Bell-Olivetti-Telecom, sulla base del contributo fornito da Conorte e Sacchetti a Hopa nella trattativa – tra l’estate del 2001 fino alla cessione delle quote finali nel novembre 2002 – Gnutti concordò un riconoscimento che lo stesso propose di erogare attraverso operazioni di borsa, con finanziamenti concessi a tassi di mercato da Bpl – anche questo punto confermato ai pm da Fiorani e Boni – e garantiti da collaterale in titoli su cui Bpl ha guadagnato per tassi e commissioni. Contestualmente, Unipol cedette 36,5 milioni di titoli Olivetti a Bell a un valore doppio di quello allora di mercato, eliminando perdite per circa 60 milioni di euro rispetto ai valori di carico. L’ipotesi di reato di ricettazione è di fatto caduta, poiché è agli atti il bonifico di accredito della quota riconosciuta per intermediazione a Consorte-Sacchetti , bonifici effettuati dalla Ibz Investment Bank di Zurigo del gruppo Sella tramite giroconto Credit Agricole (dunque istituti accreditati, niente ricettazione) con tanto di esplicita causale. Quanto all’ipotesi di violazione dello scudo fiscale, sono agli atti le dichiarazioni del commercialista che se n’è occupato e risulta regolarmente pagata l’imposta sui capital gain, come confermato nell’incidente probatorio da Fiorani.
Quanto all’Opa obbligatoria su Bnl, è agli atti della magistratura la compiuta ricostruzione dei contatti intrattenuti da Unipol col contropatto, nonché l’intera ricostruzione del defatigante confronto avvenuto per cinque mesi con Isvap, Consob e Bankitalia, nonché la documentazione della congruità della base patrimoniale di Unipol per l’opa obbligatoria in vista della quale la Consob approvò il prospetto informativo, il 31 agosto 2005. Il rimpallo di mesi tra autorità fu evidentemente mirato a far scattare il termine del primo gennaio 2006, dal quale sarebbe entrata in vigore la nuova normativa sui conglomerati finanziari, in base alla quale Isvap e Bankitalia avrebbero dovuto concordare e modificare i criteri di solvibilità per il lancio di opa miranti a realizzare conglomerati misti banco-assicurativi. Unipol non poteva che agire sulla base dei coefficienti di solvibilità fino a quel momento regolarmente richiesti da Bankitalia in caso di opa bancarie, e del resto fino alla data di oggi non risulta che le due autorità abbiano sciolto il dilemma dei nuovi coefficienti: di conseguenza il problema si porrebbe tal quale.
Potremmo continuare a lungo, non senza rammentare che intanto i competenti pm hanno anche già richiesto il proscioglimento di Consorte per l’affaire del magistrato Castellano, a lungo descritto dalla stampa come il tramite attraverso il quale il vertice di Unipol cercava di evitare e inquinare il faro acceso dalle diverse magistrature. Ma a questo punto aspettiamo Matrix. Vedremo se e quali saranno le reazioni. E potremo misurare meglio col tempo se davvero non avevamo ragione noi, e cioè se non si sia trattato semplicemente di far fuori con le spicce chi attentava a equilibri banco-industriali, che mai sarebbero stati disposti a veder ulteriormente crescere Unipol.