La sindrome di Twin Peaks

Fra i grandi interrogativi irrisolti che affliggono la nostra vita, ce n’è uno che ultimamente torna sempre più spesso. Può una serie sopravvivere a se stessa? La domanda è più semplice di quel che sembra e la potremmo riformulare usando un classico del genere: ha senso continuare a seguire Twin Peaks una volta scoperto “chi ha ucciso Laura Palmer”? Si può continuare a costruire una storia credibile – e per credibile non intendiamo realistica, sia chiaro – quando il presupposto su cui si basa tutto il telefilm è passato, svanito, risolto? L’interrogativo, badate bene, non è da poco. Si può applicare praticamente a tutti i campi dello scibile umano. E anche, visto come stiamo messi, a tutte le gravi questioni che rimbalzano sui giornali di questi tempi, dal dossier Mitrokhin all’inchiesta di Deaglio, alla seconda edizione del governo Prodi. Ma tornando a cose più serie, ultimamente la domanda serpeggia insidiosamente anche tra gli appassionati delle serie di maggiore successo. In America, per esempio, al momento è il problema principale di Lost. Non che gli sceneggiatori abbiano spiegato alcunché, figuriamoci, ma è proprio la necessità di evitare “l’effetto Twin Peaks” che li sta costringendo ad allungare il brodo puntata dopo puntata. Lasciandoci così senza uno straccio di spiegazione, in attesa che il grande giorno della soluzione di tutti i misteri arrivi. Perché, va da sé, il grande giorno arriverà solo e soltanto alla fine della serie. E la fine della serie – per quanto ne sanno gli autori – potrebbe arrivare anche tra dieci anni. Non possiamo parlare per gli altri spettatori, ma pensiamo che fra dieci anni avremo deciso che dei misteri dell’isola si può anche rimanere all’oscuro, e saremo passati ad altro. Cosa che, a giudicare dal calo degli ascolti di Lost, molti spettatori stanno già facendo. Intendiamoci, Lost ha ancora successo, ma ci si chiede sempre più insistentemente quanto possa andare avanti in questo modo.
Siccome, però, non sarebbe un dilemma irrisolvibile se non ci fosse un esempio contrario, possiamo dire che a sfatare la maledizione ci ha pensato Prison Break. Qui in Italia è appena terminata la prima stagione, che si conclude con la grande evasione che dà il titolo al telefilm. Era dunque inevitabile chiedersi come potesse andare avanti. E poiché, fortunatamente, il grande mondo delle serie è fatto di universi paralleli, possediamo già la risposta. In America, infatti, sta andando in onda la seconda stagione, che ha avuto un tale successo che la prevista pausa invernale è stata perfino accorciata. Usciti alla luce del sole, i protagonisti sembrano rinascere, e la storia prende pieghe ancora più interessanti. In fondo, è la grande lezione di Jack Bauer: è di gran lunga più divertente svelare pericolosi complotti presidenziali, che passare il tempo a giocare ai topi nel labirinto. Ma non saremmo delle vere professioniste se non notassimo che la storia ha cominciato davvero a decollare da quando ha preso corpo il legame sentimentale tra due dei protagonisti: Sara, l’ingenua dottoressa del penitenziario, e Michael, l’enigmatica e ingegnosa mente dell’evasione. E non possiamo non notare, impegnate come siamo a trovare validi motivi per seguire ogni possibile telefilm, che la storia è diventata imperdibile quando la relazione tra i due – crudelmente separati dal destino avverso – si è fatta ancora più contrastata e impossibile. Roba da stracciare generazioni di Rosselle O’Hara. Non sorprende, quindi, che il tema dominante dell’attesissima seconda parte della stagione sarà la rischiosa ricerca da parte di Michael della sua amata Sara. Perché, naturalmente, non siamo le sole professioniste in circolazione.