Perché sarò in piazza con la Fiom

Ancora una volta, dinanzi a una manifestazione della Fiom, nei gruppi dirigenti del Partito democratico si apre la discussione sull’opportunità di aderire, partecipare, solidarizzare o meno con l’iniziativa. Ho l’impressione però che i nostri elettori facciano fatica a capire il senso di queste polemiche.
Si finirà a fianco di esponenti della sinistra radicale, gli stessi che hanno fatto cadere il governo Prodi, si dice. Sarà senz’altro così, ma che c’entra? Appoggiamo un governo assieme a Sacconi e Gasparri, per le ragioni che tutti conosciamo e condividiamo, e adesso, proprio chi non esita a sostenere la necessità di prolungare il più possibile un simile esperimento, persino oltre il voto, trova imbarazzante la compagnia di qualche metalmeccanico Fiom o di qualche esponente della sinistra radicale in una semplice manifestazione sindacale?
Non credo che un dirigente del Pd dovrebbe provare imbarazzo a stare vicino a metalmeccanici che difendono il proprio lavoro e i propri diritti solo perché qualche estremista passa di li. Ma soprattutto – ed è questo il punto principale – non si può non vedere come questo sciopero cada in un momento molto particolare della vicenda Fiat: il piano Fabbrica Italia, con i suoi 20 miliardi di investimenti promessi, è scomparso dai radar. La sfida di Marchionne, invece, si rivela ogni giorno di più per quello che è: un tentativo – peraltro fallimentare – di competere sulla riduzione dei costi e dei diritti.
Oggi siamo alla rappresaglia, con il rifiuto di assumere chi ha la tessera Fiom: una discriminazione che dovrebbe apparire intollerabile a tutti i democratici, ma soprattutto a quelli che sin dal primo momento, e con tanta foga, si erano schierati con Marchionne “senza se e senza ma”. O c‘è davvero tra noi qualcuno che consideri accettabile questo modo di fare industria nell’Italia di oggi, spacciando per modernità il ritorno all’Ottocento? Ma allora è di questo che bisogna discutere, di questa regressiva visione del futuro che – a ben vedere – ha a che fare anche con la discussione sull’articolo 18.
A dividerci non è il giudizio sul governo Monti, che non è nemmeno l’oggetto della manifestazione Fiom, ma il giudizio su Marchionne. O meglio, sul “modello Pomigliano”, e cioè su una precisa idea di relazioni sociali, divisione del lavoro, strategia di sviluppo. Il punto è quale collocazione abbiamo in mente per l’Italia nella competizione internazionale, se davvero crediamo a tante belle parole su un’idea di sviluppo fondata su tecnologia, sapere, investimenti, o se sotto sotto non crediamo invece di dovere accettare come un destino ineluttabile il declino economico e civile, una sorta di retrocessione dell’Italia nel mondo. Io non lo credo, ed è anche per questo che sarò a quella manifestazione.