Quirinale, il manifesto dei peones

Nella scelta del nuovo presidente della Repubblica bisogna coinvolgere i gruppi parlamentari, occorre allargare la platea decisionale, si deve persuadere uno per uno ciascun singolo grande elettore della giustezza di questo o di quel nome. Questo ritornello viene ripetuto, con sempre maggior veemenza, come un mantra da alcuni colleghi parlamentari, come fosse un dato imprescindibile, un principio cardine irrinunciabile nella partita per il Quirinale. Io credo che, per dirla con il rag. Ugo Fantozzi, questo modo di argomentare sia una “boiata pazzesca”. Infatti, con tutto il rispetto per i sostenitori della “centralità dei gruppi parlamentari”, mi sembra evidente che se esiste un modo certo per andare a sbattere in questa vicenda è proprio quello di scatenare, senza rete, le aspirazioni dei singoli grandi elettori. Dio ci scampi. Non se ne uscirebbe vivi.

Vorrei essere chiaro: non dico tutto ciò per sfiducia nelle capacità politiche dei tanti colleghi che, come me, compongono le amplissime schiere dei peones, della truppa parlamentare. Non si tratta di questo, ovviamente. Semmai vorrei ribadire che, se crediamo nella funzione dei partiti in un sistema democratico maturo, allora dobbiamo necessariamente essere conseguenti.

Guardiamo alla storia repubblicana nella sua interezza. Quando mai, infatti, i grandi partiti della cosiddetta Prima Repubblica affrontarono i passaggi politici più delicati, soprattutto in sede di scelta della carica monocratica più alta, con un atteggiamento assemblearista? Neanche la Balena Bianca, il grande partito cattolico che rappresentò, nei fatti, l’architrave di quel sistema politico, e che pure era una forza politica estremamente articolata al proprio interno, composta da correnti e sottocorrenti agguerritissime, si affidò mai alla modalità delle decisioni assembleari. Anzi, quando ciò accadde, il candidato prevalente in quella sede entrò papa in Conclave per uscirne regolarmente cardinale.

C’è una sola strada percorribile per raggiungere non il migliore dei risultati ma il risultato migliore possibile: dare al gruppo dirigente ristretto del Pd il mandato pieno a trovare il punto di sintesi più avanzato, nelle condizioni date dall’attuale contesto politico e numerico. Le scelte fondamentali vanno assunte in quella sede e solo in essa. Questo vuole la logica e, si parva licet, anche l’opportunità, affinché si evitino i disastri del passato recente. All’insieme dei grandi elettori democratici il compito meno divertente, forse, ma più utile alla difesa della credibilità e della forza delle istituzioni repubblicane: seguire con onestà e responsabilità le decisioni assunte.

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Emiliano Minnucci è parlamentare del Partito democratico