L’Italia è un paese anormale. C’è una quota di economia sommersa e illegale, che sfugge a qualsiasi indagine, statistica o fiscale, che ha dimensioni enormi. C’è una macchina statale inefficiente e insieme costosa e ridondante, tanto che la forte distanza tra l’amministrazione e il cittadino non accenna a diminuire, né al Nord né al Sud. C’è, infine, un peso delle organizzazioni sindacali delle categorie economiche tradizionali fortemente superiore ai rapporti di forza nella società. C’è anche un problema di riequilibrio del benessere in favore di ceti deboli, che non sono i lavoratori dipendenti ma i pensionati che non lavorano, gli anziani soli, i precari, i giovani, i separati: quelli che non godono di una sicurezza sociale e materiale, che non hanno “dietro” una famiglia benestante e non posseggono nessuna dote: una casa, una macchina, un lavoro…
Ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata da Marco Tronchetti Provera ad Alberto Statera, uscita su Repubblica del 23 luglio 2005, nel pieno delle polemiche sulle scalate ad Antonveneta, Banca nazionale del lavoro e Rizzoli-Corriere della sera (il titolo originale era: “«Il salotto buono è sano e non sarà scalato»”; occhiello: “Il numero uno di Pirelli e Telecom ottimista sulle capacità di reagire dell´Azienda Italia. «Ma la politica non ci aiuta a reggere la concorrenza»”; catenaccio: “Tronchetti: non vedo novità nei neoimmobiliaristi, sono solo speculatori”)
Sconfitta socialdemocratica, chiara e rara. I “sossarna”, questo il nome in gergo dei socialdemocratici svedesi, non erano mai scesi fino al 35% dei voti (perdono il 4% dal 2002) da quando c’è il suffragio universale. E mai i quattro partiti del centrodestra erano apparsi più uniti (Allians, non a caso, il nome sfoggiato in questa campagna elettorale), più in grado di spostarsi, tutti, verso il centro e più concordi su una premiership tutta nuova: quella del conservatore Reinfeldt…
Nel rischioso e ancora instabile dopoguerra libanese, la comunità internazionale adesso ha la possibilità di lavorare per cominciare a sciogliere molti dei nodi che soffocano il Medio Oriente, e che si sono venuti aggrovigliando con l’intervento angloamericano in Iraq. Per deficit di potenza, se non per scelta analitica e intellettuale, è infatti di nuovo in voga l’azione politica multilaterale, il concerto delle nazioni fuori e dentro gli organismi internazionali…
Ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata da Arturo Parisi a Dario Di Vico, uscita sul Corriere della sera del 4 agosto 2005, nel pieno delle polemiche sulle scalate ad Antonveneta, Banca nazionale del lavoro e Rizzoli-Corriere della sera (il titolo originale era: “Allarme di Parisi: torna la questione morale”; catenaccio: “«Dalla Rai alle banche troppe commistioni tra la politica e l’economia» «Su Unipol esitazioni dei Ds. Inevitabile la supplenza della magistratura»”)
A cinque anni da quell’incredibile ed epocale 11 settembre 2001, tutti noi abbiamo visto la nostra stessa vita cambiare e gli spazi pubblici restringersi o addirittura chiudersi. Ciò ha significato un indebolirsi della politica. Il luogo in cui il processo è stato più evidente è quel Medio Oriente da dove tutto partì molti anni prima, con il primo jihad verso l’Afghanistan. Lo è non per una sorta di retribuzione divina, bensì perché vi è stato più concretamente l’errore dell’intervento Usa in Iraq che ha accresciuto le già grandi difficoltà della politica nella regione. Si è trattato infatti di un evento che ha profondamente cambiato il Medio Oriente. Ma non come si aspettava l’Amministrazione Usa…
“Non sussiste l’esimente del diritto di critica allorché un magistrato venga accusato di svolgere indagini politiche, in quanto siffatta espressione, evocando l’intenzione di favorire una determinata forza politica a scapito di un’altra, assume una portata offensiva, risolvendosi in un attacco alla sfera morale della persona”. Non può la critica spingersi sino a sostenere “l’asservimento della funzione giudiziaria a interessi personali, partitici, politici, ideologici”. Non importa qui la fattispecie concreta, ovvero se le parole effettivamente usate da Vittorio Sgarbi nei confronti del pool antimafia guidato al tempo da Giancarlo Caselli esorbitassero o meno dalla critica per sfociare in denigrazione, come asserito dall’avvocato Guido Calvi…
E’ stata celebrata la ritrovata volontà di dialogo. Si sono organizzate importanti iniziative multilaterali. Sono stati espressi apprezzamenti reciproci per l’abbandono delle rigidità passate. Le velleità carolinge e anti-statunitensi, in voga nel 2002-04, sembrano ora appartenere a un’altra epoca. Le visioni allucinate (e allucinogene) dei neoconservatori fanno oggi sorridere; pochi adepti paiono ancora prendere sul serio i loro radicali progetti di destrutturazione/riarticolazione dell’ordine internazionale…
Dopo l’atroce strage di Qana, dove sono morti 54 civili tra cui decine di bambini, è più difficile, almeno emotivamente, discutere della conferenza di Roma e argomentare del suo sostanziale successo. Anche perché il corso degli avvenimenti sul terreno potrebbe prendere la strada che già prese nel 1996 dopo un’analoga e terribile strage durante l’operazione Grapes of Wrath condotta dall’esercito israeliano contro Hizballah, e finita con il crollo proprio a Qana di un palazzo sede degli osservatori Onu…
Gli eventi bellici in Medio Oriente mettono a nudo molte questioni. Innanzi tutto la debolezza della politica in questa fase storica e il vuoto che lascia, in questo caso riempito dalle armi, in altri dalle contestazioni protestatarie. Si tratta di una questione centrale anche per noi europei, e non solo perché l’Europa subisce l’ennesimo conflitto alle porte di casa senza avere la forza politica di intervenire, salvo per l’importante conferenza sul Libano del prossimo mercoledì a Roma. Ma anche perché questa debolezza della politica, a cui si surroga solo temporaneamente con l’inventiva personale, come nel caso che abbiamo appena citato, investe anche la stessa costruzione europea…
Se si vuole fermare una guerra la prima cosa da fare è capire bene le cause che la generano, e quale ruolo hanno gli attori in campo. Dopo avere assistito sgomenti allo scoppio della crisi a Gaza e alla successiva crisi libanese, occorre dunque chiedersi: quali ne sono le cause profonde? La prima cosa da dire, in modo molto semplice, è questa: Israele è la parte offesa. Prima dal rapimento di un soldato nel suo territorio vicino Gaza, poi dal rapimento di altri due, sempre sul suo territorio, ma questa volta vicino al confine libanese…
I colpevolisti hanno ragione almeno su una cosa: le regole del processo sportivo prevedono il deferimento e la punizione anche solo per il tentativo di condizionare partite e campionati, e pertanto i giudici della Caf hanno avuto qualche ragione nel voler concludere il “processo del venerdì” nel modo a tutti noto, lasciandoci ora in attesa dell’ ”appello del martedì” previsto per il 25 luglio dopo la serie dei ricorsi. Tuttavia, c’è più di una cosa che non torna. Non mi voglio soffermare sull’insufficiente attenzione concessa alle deduzioni difensive…