Perché dico no alle preferenze

In questi anni di crescente distacco tra politica e sentire comune le liste bloccate sono apparse come quanto di più lontano si possa immaginare per avvicinare, o riavvicinare, i cittadini alla vita politica del Paese. Tuttavia, tornare al sistema delle preferenze sarebbe un rimedio peggiore del male.  Lo dico da giovane donna che con esse si è misurata più volte, per fortuna sempre con esiti positivi, prima al consiglio comunale di Napoli, due volte, e poi come candidata al Parlamento alle primarie del PD.

Il ritorno a quel sistema sarebbe una scelta assai poco in linea con la spinta al cambiamento che ormai investe e incalza la politica. Una scelta con lo sguardo rivolto all’indietro, verso un passato che consapevolmente e volutamente abbiamo deciso di superare, per tagliare in maniera netta e decisa con un sistema che, tra le altre cose, ha mostrato pure assai pochi anticorpi alla permeabilità delle infiltrazioni criminali. Per esempio negli anni di Tangentopoli.

Eppure sono in molti oggi a invocare il ritorno a quel sistema. Principalmente in nome della necessità, sicuramente reale ed esistente, di colmare il grave deficit di democrazia e rappresentatività ormai scavato tra cittadini e partiti. Personalmente non sono d’accordo, commetteremmo l’errore di guardare al dito anziché alla luna. A me pare, infatti, che l’avversione verso il sistema delle liste bloccate non risieda tanto nello strumento in sé, quanto invece nel modo in cui quello strumento è stato utilizzato in questi anni, premiando per esempio molto spesso più la fedeltà e l’appartenenza a una cordata che il merito e la capacità di ciascuno.

Il punto vero, allora, non è lo strumento di selezione ma l’incapacità purtroppo dimostrata in questi ultimi anni dai cosiddetti “corpi intermedi” di esercitare appieno la propria funzione e le proprie prerogative insieme all’incapacità di immergersi nella carne viva del Paese, di intercettarne al meglio richieste e bisogni.

Per questo tentare di risolvere il problema reintroducendo tout court il sistema delle preferenze non solo sarebbe inutile, perché così non si affronterebbe davvero il problema, ma aggraverebbe addirittura la situazione se è vero, com’è vero, che si tratta di un meccanismo che riducendo la competizione tra candidati a un mero confronto/scontro tra persone più che tra programmi e proposte politiche, esaspera il dibattito, accentua i personalismi, favorisce solo l’ascesa e il rafforzamento di leadership e notabilati locali già consolidati e fa lievitare in misura considerevole i costi delle campagne elettorali. Costi che non sarebbero mai gli stessi per tutti e che non tutti potrebbero sostenere. Penso soprattutto alle donne e ai giovani, spesso (per fortuna) “fuori” dalle logiche di potere e di potentati territoriali che con il sistema delle preferenze vengono di sicuro favorite impedendo quel virtuoso e positivo ricambio della classe dirigente che pure da più parti viene continuamente invocato. E da questo punto di vista, non sarebbe di per sé sufficiente, per quanto lodevole e preziosa, l’introduzione della doppia preferenza di genere: certo, aiuterebbe più donne ad entrare ma lascerebbe intatta l’impalcatura complessiva del sistema.

Pensare di correggere i difetti delle liste bloccate reintroducendo, anche se solo in parte, le preferenze sarebbe dunque una scelta superficiale oltre che sbagliata. Una scelta che in alcuni casi potrebbe addirittura apparire strumentale a logiche di contrapposizione politica di parte, soprattutto se a chiedere di procedere in questa direzione è chi sempre, ieri come oggi, ha invocato la necessità di un partito strutturato, in grado di esercitare più e meglio di quanto fatto finora le funzioni attribuitegli dalla Carta Costituzionale.

Perché delle due l’una: o il partito ritrova una sua funzione, certo rinnovata e in sintonia con i tempi, semmai attuando finalmente l’articolo 49 della Costituzione o esso non è nient’altro che un grande permanente comitato elettorale, che delega quelle stesse funzioni ad altri, vuoi con le primarie vuoi con le preferenze. Personalmente, credo sia giusto che i partiti ritrovino una loro funzione e tornino a esercitarla con coraggio e senso di responsabilità. Continuo a credere nell’utilità dell’esistenza di forze politiche che, seppure completamente rinnovate nei metodi e nelle persone, sappiano ricostruire quella “connessione sentimentale” con il popolo che decidono di rappresentare.

Certo, se ci fossero i margini, la soluzione migliore in questo senso sarebbe senza ombra di dubbio il sistema dei collegi uninominali: avrebbero la capacità di coniugare rappresentanza territoriale e capacità di direzione politica dei partiti senza prestare il fianco a rischi vecchi e nuovi tipici dei sistemi fondati esclusivamente sul consenso personale.

Ma quei margini, purtroppo, oggi almeno in Parlamento non credo che ci siano e quindi, rebus sic stantibus, è di liste bloccate e preferenze che dobbiamo discutere. E se il meglio è nemico del bene, bene oggi i correttivi apportati dall’Italicum: liste ridotte con meno candidati e maggiore possibilità di individuarli e riconoscerli per i cittadini. Per il meglio c’è il domani, che forse è molto più vicino di quanto possa sembrare.

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Valeria Valente è presidente del Comitato Pari Opportunità della Camera