La febbre di Adamo

La prima malattia, nulla di grave, una semplice influenza. La prima malattia del primo uomo. Adamo non deve aver sofferto granché, sulle prime, della perdita del paradiso. Avrà visto lo stesso cielo, la stessa terra, gli stessi animali. Ma chissà cosa avrà provato quel giorno, al suo risveglio, sentendo “mal di gola, tosse persistente, una certa sensazione di capogiro e un malessere allo stomaco”. Di certo erano sensazioni nuove.
Il primo uomo, in preda al panico, deve aver gridato: “Eva, sto morendo!” (affermazione già di per sé, in quel contesto, rivoluzionaria) accorgendosi così, tra gli incalcolabili cambiamenti dei giorni in cui ebbe l’influenza, che erano in due, notando finalmente la persona che era con lui da quando era stato cacciato dal paradiso.
In Italia il nome di Bernardo Atxaga è tornato a circolare sui giornali in seguito alla strage dell’11 marzo, specialmente nei primi giorni, quando si attribuiva all’Eta la responsabilità degli attentati. Tuttavia questo straordinario scrittore basco, così legato alla propria tradizione e che si autotraduce in castigliano (ne abbiamo parlato nel Leggere e vedere del 29 dicembre) è innanzi tutto autore di una poesia universale come lo è solo la vera poesia. Anche in una raccolta intitolata “Dall’altra parte della frontiera” (edito in Italia da Guanda) ricca di canzoni e ballate tradizionali, molte delle quali musicate e trasmesse per radio nei Paesi Baschi, e anche in un testo che è in realtà scritto in prosa come “Adamo ha l’influenza”.
Fa un certo effetto rileggerlo oggi, dopo i fatti di Madrid. Se era vero, come non era vero, che l’Europa aveva vissuto fino a oggi nell’illusione di un paradiso kantiano di pace perpetua, l’11 marzo è stato molto di più che la sua prima influenza. Ma quell’idea di civiltà, checché ne dicano i neoconservatori, non può essere accostata all’utopia di un paradiso terrestre, buona solo per i sognatori, né può essere sopraffatta dal panico, dal dolore e dalla minaccia di morte. Che è poi la minaccia con cui l’uomo deve confrontarsi, senza indietreggiare ma senza farsene impossessare, sin dal primo giorno in cui Adamo si svegliò con la tosse. Una tosse destinata a passare. Perché “immagino che, rimessosi dall’influenza, avrà abbracciato la sua donna e le avrà detto: ‘Eva, non mi sono mai sentito meglio!’ …espressione che nel suo caso, venendo da dove veniva, suonava esagerata”.