Darwin, l’embrione e il creatore

Ogni anno, alla vigilia di San Valentino, arrivano le polemiche. La colpa non è di San Valentino, ovviamente, ma di Charles Darwin, che ebbe la ventura di nascere il 12 febbraio 1809. Nel mondo anglosassone, questa data è ricordata con conferenze, dibattiti, incontri, che provano a fare il punto non solo sullo stato della ricerca scientifica in tema di evoluzione, ma anche sulle resistenze e le paure che continua ancora a suscitare. Da quest’anno anche l’Italia ha le Darwin Day Celebrations, e in questi giorni numerose (e benvenute) sono le iniziative che ricordano una delle più straordinarie imprese intellettuali dell’età moderna. Freud diceva che tre profonde ferite sono state inferte nel corso della storia al narcisismo umano: la rivoluzione scientifica e lo spodestamento della terra dal centro dell’universo, la rivoluzione psicanalitica e lo spodestamento della coscienza dal centro della vita psichica dell’individuo, la rivoluzione biologica e lo spodestamento dell’uomo dalla posizione di eccezione rispetto al resto della natura. Dalle prime due ferite l’umanità pare essersi ripresa abbastanza bene. La terza, invece, non riesce proprio a rimarginarsi. Il Corriere della Sera riprendeva domenica un sondaggio CBS secondo cui il 55% degli americani non crede all’evoluzionismo. Senza mettere definitivamente in soffitta le vecchie tesi creazioniste, la destra religiosa americana le ripresenta oggi sotto la più modesta insegna dell’Intelligent Design Theory, di un architettura intelligente della natura che il caso e la selezione naturale – cardini del darwinismo – non saprebbero spiegare. L’insegna è nuova, ma l’idea è vecchia: non era Kant che diceva che è assurdo “pensare che un giorno possa sorgere un Newton che faccia comprendere sia pure la produzione di un filo d’erba per via di leggi naturali non ordinate da un fine”? Se non di un filo d’erba, figuriamoci dell’uomo!
Idea vecchia fa buon brodo, e a Dover, in Pennsylvania, la Intelligent Design Theory è stata inserita nei programmi scolastici. Ma, si dirà, è la solita America profonda, bigotta e fondamentalista, pervasa da quel letteralismo protestante per il quale se c’è scritto che per la creazione ci son voluti giorni sei, vorrà dire che sei giorni ci son voluti: non uno di più né uno di meno. Ora, a parte il fatto che anche in Italia, meno di un anno fa, ci si era dimenticati di inserire nei programmi delle scuole la biologia evoluzionista, salvo poi reintrodurla dietro pressione dell’opinione pubblica e parere di una Commissione costituita ad hoc (e costituita, vale la pena di ricordarlo, con una curiosa applicazione del principio della parità fra laici e cattolici, in una materia che non pare essere questione di coscienza), a parte tutto ciò, vi sono ormai fior di professori – Philip E. Johnson della Berkeley University, ad esempio, o il filosofo Alvin Plantinga, o il genetista Giuseppe Sermonti – che provano ad accreditare la Design Theory come seria ipotesi scientifica. «Creationism is no longer hick, but chic», ha commentato con ironia Philip Kitcher, per dire che oggi certe idee non appaiono più roba da ignoranti zoticoni, ma fanno addirittura chic.
Benvenuto allora il Darwin Day, specie in un paese come il nostro per il quale difficilmente la scienza con i suoi odiati numeri fa cultura. Ciò detto, è possibile non respingere come semplicemente insensata, ma accogliere su un terreno diverso da quello dell’ipotesi scientifica, la preoccupazione che ispira gli antievoluzionisti – preoccupazione che sembra essere più o meno questa: l’uomo non è un ente meramente naturale, almeno non nel senso della scienza moderna della natura (che non è l’unico senso possibile di “ente naturale”). E’ possibile, credo, anche se richiede non di fermare la scienza, ma casomai di incoraggiare la filosofia.
La cosa curiosa è che di questa umanissima preoccupazione (e di una filosofia che se ne faccia carico) sembrano ignari proprio quanti, schierandosi a favore della legge 40 e contro i referendum, difendono (o dicono di difendere) l’umanità dell’uomo e la sua intangibile dignità dalla prepotenza della scienza e della tecnica. Quale uomo però difendono e giudicano intangibile? L’uomo ridotto alla nuda vita biologica dell’embrione. Il presidente (cattolico) del Comitato nazionale della bioetica, Francesco D’Agostino, pronunciandosi contro i referendum, ha per esempio detto che «nella scienza non c’è democrazia. Tocca alla scienza, non ai politici dire quando c’è un embrione e che cos’è». Se però tocca alla scienza rispondere alla domanda se l’embrione sia o no uomo nello stesso senso di ogni altro individuo umano, allora non tocca alla storia, non tocca alla politica, non tocca alla filosofia e non tocca ahimè nemmeno alla religione. Siamo proprio sicuri che sia questa la migliore difesa possibile dell’umanità dell’uomo? Se sì, c’è almeno una buona notizia: nei prossimi giorni schiere di cattolici sfileranno contenti alle Darwin Day Celebrations.
Oppure no?