Voto basco e costituzione spagnola

Il 17 aprile si terranno elezioni regionali anche nei Paesi baschi, che molto probabilmente saranno vinte dalla coalizione nazionalista moderata Pnv-Ea, guidata dall’attuale presidente della Comunità autonoma Juan José Ibarretxe. Ma se l’alleanza tra Partido nacionalista vasco ed Eusko Alkartasuna prenderà la maggioranza assoluta e potrà governare da sola, lasciando ai margini tutte le principali forze politiche spagnole, più che dagli elettori dipenderà dai tribunali. Dopo la messa al bando di Herri Batasuna nel 2003 per essere il braccio politico dell’Eta, dopo la cancellazione della lista di Aukera Guztiak per essere la continuazione di Batasuna, la discussione verte ora sulla possibile esclusione dalla competizione elettorale – per le stesse ragioni e sempre manu giudiziaria – del Partido Comunista de las Tierras Vascas, partito fino a poche settimane fa ignoto alle cronache e che Herri Batasuna ha apertamente invitato a votare. La decisione del tribunale potrebbe arrivare addirittura lo stesso giorno delle elezioni, ponendo non pochi problemi su come regolarsi nel caso – unico nella storia delle democrazie – di un partito regolarmente presente sulla scheda eppure messo fuori legge. Ma problemi non minori porrebbe la sua chiusura dopo il voto, con il concreto rischio di annullamento delle elezioni.
In occasione della sospensione di Aukera Guztiak, il presidente basco Ibarretxe si era abbandonato a inusuali e assai poco credibili dichiarazioni di solidarietà agli indipendentisti, ricevuti nel palazzo della presidenza e salutati con le accuse a Pp e Psoe di aver ordito un complotto politico-giudiziario ai loro danni. Qualora le autorità spagnole dovessero impedire di presentarsi anche al Pctv, il dolore di Ibarrexte per l’esclusione dei suoi concorrenti sarà certamente lenito dai risultati che gli consegneranno la maggioranza assoluta. Ma la violenta polemica del segretario del Partido popular Mariano Rajoy contro il governo, accusato preventivamente di muoversi secondo un interesse di partito qualora non favorisse la messa al bando del Pctv, la dice lunga sulle difficoltà di mantenere una posizione equilibrata tra stato di diritto, libertà di espressione e lotta al terrorismo. I problemi della “legge Mancino” spagnola per i Paesi baschi non finiscono mai, obbligando governo e autorità giudiziarie a un’eterna rincorsa di quelle formazioni radicali che sembrano riprodursi per partenogenesi dopo ogni colpo ricevuto.
Nel frattempo, si susseguono le ambigue offerte di negoziato ai governi spagnolo e francese da parte dell’Eta. Il governo Zapatero non si è discostato nella sua risposta dalla linea seguita in tutte le precedenti occasioni, rifiutando ogni dialogo se prima i terroristi non deporranno le armi. Richiesta cui finora hanno regolarmente fatto seguito nuove e altrettanto ambigue offerte di dialogo, ma anche una serie di attentati a bassa intensità. Dopo l’11 settembre e soprattutto dopo l’11 marzo, la vita del terrorismo interno al tempo di al Qaeda si è fatta in Europa decisamente più difficile, senza contare i duri colpi che l’Eta ha subito da parte delle forze dell’ordine già durante il governo Aznar. Le divisioni strategiche in seno ai vertici dell’organizzazione sono finite persino sulle prime pagine dei quotidiani. Ma quegli stessi quotidiani hanno anche dovuto registrare le adunate oceaniche di partiti ufficialmente fuori legge, nonché la recente occupazione di una scuola da parte di 157 professori che rischiano di perdere il posto per non avere raggiunto il livello di euskera – la lingua basca – richiesto dal governo locale. Vicenda che è divenuta immediatamente un caso politico e su cui il Partido popular ha presentato una mozione in parlamento.
Il piano para-secessionista che porta il suo nome ha comunque offerto al presidente Ibarretxe una tribuna senza paragoni da cui presentarsi come alfiere dell’indipendenza basca. Il fatto che senza nessuna sorpresa il piano sia stato bocciato dal parlamento di Madrid non toglie nulla all’efficacia della manovra con cui il suo autore è riuscito a occupare lo spazio lasciato scoperto dalle formazioni radicali messe fuori legge (e soprattutto fuori dalle schede elettorali). Senza contare che nonostante quanto previsto dall’attuale statuto dei Paesi baschi e soprattutto dalla costituzione spagnola, Ibarretxe ha impostato tutta la sua campagna elettorale sull’apertura di una trattativa con Madrid, affermando che “se lo stato torna a rifiutarsi di aprire un negoziato, la società basca sarà consultata perché ratifichi il progetto approvato dalla maggioranza assoluta del parlamento basco”. La prova di forza è dunque appena cominciata e certo non si concluderà con il voto del 17 aprile, quale che sia l’esito.