Ratzinger e Nietzsche

Quando a Piazza San Pietro è stato annunciato il nuovo papa c’è stata un po’ di delusione. Quasi tutti i cattolici speravano in un Giovanni Paolo III, se non altro per un segnale anche fonetico di continuità. E invece Benedetto XVI. Perché il XV – ha poi detto Ratzinger – è stato un papa di pace. E perché – soprattutto, diciamo noi – Benedetto è il monaco della Regula, una forma di austera scansione del tempo tra preghiera e lavoro, che facilita l’incontro con Dio. Il monachesimo, più in generale, fu una risposta alla decadenza della Chiesa. E Ratzinger ha già ricordato ai preti il valore della severità con se stessi. La scelta del nome può dunque essere letta come un messaggio ai suoi. Anche se l’idea del cenobio incontra insospettabili alleati pure tra gli atei. Contro la dittatura del “tempo-ora”, cioè contro l’arida razionalità strumentale, Nietzsche vagheggiava un “monastero per spiriti liberi”. Lì, gli “inattuali” vivono in amicizia, severo lavoro, scrupolosità e metodicità negli studi, disciplina e ripartizione sistematica della giornata. Che Nietzsche fosse tedesco e avesse frequentato dal 1858 al 1864 la Scuola di Pforta, una singolare mescolanza d’istituzione culturale e di collegio militare prussiano all’interno di un monastero cistercense, lasciamolo tra parentesi. Qui ci piace pensare che Benedetto XVI possa far riscoprire, almeno nell’approccio metodologico, un minimo di diligenza e di meticolosità anche a chi cattolico non è. E chissà che lo spirito liberale non ne esca rinvigorito.