Il riformismo è partito

Persino noi che siamo degli appassionati della prima ora, proprio non riusciamo a immaginare discussione più noiosa di quella sul futuro partito dell’Ulivo, se sarà democratico o riformista, se sarà più figlio dell’America o dell’Europa e se in Europa sarà più legato ai socialisti o ai liberaldemocratici. Discussione che ci ricorda parecchio quella sulle primarie. Non a caso alla vigilia della consultazione osservavamo: “Come sempre avviene in Italia, gli aspiranti becchini si sono travestiti da solerti infermieri: preoccupati delle possibili infiltrazioni di elettori di centrodestra, letteralmente angosciati dalla possibilità che qualcuno voti più volte, incapaci di prendere sonno al pensiero che le primarie possano indebolire la leadership o dividere la coalizione del centrosinistra anziché rafforzarle. Arrischiamo una facile previsione: nessuno di tali argomenti sopravvivrà a domenica prossima” (vedi editoriale del 10 ottobre scorso). La previsione era fin troppo facile. Tanto che ci sentiamo di arrischiarne un’altra oggi, uguale e contraria: l’intera discussione sul nuovo partito, ancora una volta, sarà spazzata via dal risultato elettorale. Se il risultato sarà un successo, tale discussione sarà superata in avanti, perché il partito si farà e il resto seguirà. Se il risultato sarà una sconfitta o un successo dimezzato (come avvenne con la lista Uniti nell’Ulivo alle scorse europee), la discussione sarà superata e basta, perché non si farà nessun partito.
La scaramanzia non è riformista e la lasciamo ai cultori di medievali tradizioni: il risultato delle elezioni del 2006 sarà un successo per le forze riformiste e sarà un terremoto per tutti gli altri, più ancora di quanto non lo sia stato il risultato delle primarie del 2005. Sarà un terremoto per il partito dei Perfezionisti – gli eterni insoddisfatti di “questo bipolarismo”, di “questa destra ma anche di questa sinistra”, che spiegano l’Italia agli italiani con gli articoli dell’Economist o del Financial Times – sarà un terremoto per quelli che ancora non si rassegnano alla fine del partito unico del governo – si chiami Dc, Grande centro o Partito della borghesia – sarà un terremoto per tutti coloro che in questi anni hanno predicato grandi riforme e lavorato attivamente per impedire che le basi di ogni possibile ipotesi di riforma venissero poste.
L’eterna discussione sul programma, sui contenuti e sulle riforme – quella discussione continuamente riproposta e che si vorrebbe l’unica discussione “concreta” – è in realtà un’arma a doppio taglio. Ben vengano tutte le necessarie dichiarazioni d’intenti, ben venga il progetto e il dibattito sui punti di programma considerati irrinunciabili dalle due coalizioni. Ma ogni e qualsiasi ipotesi di riforma in questo paese prima di tutto ha bisogno di gambe per camminare. Quando sono gli stessi detentori di insopportabili privilegi, poteri di veto e di ricatto, a invocare riforme radicali, il saggio diffida. Spesso simili argomenti sono stati usati capziosamente al solo scopo di dividere ciò che faticosamente si cercava di unire, per sabotare il tentativo di costruire finalmente le condizioni di una dialettica positiva tra le forze politiche, attraverso grandi partiti egemoni nel loro campo e sufficientemente autonomi da cordate di interessi e corporazioni da potere avviare il cambiamento possibile e necessario. Ora che tutti, compresi Rutelli e Marini, invocano il nuovo grande partito dell’Ulivo, non è proprio il momento di farsi risucchiare in simili schermaglie. Occorre andare avanti, perché solo dalla nascita di quel partito potrà riprendere vita un percorso analogo nel centrodestra, come non per caso era già accaduto all’indomani della costituzione della Federazione tra Ds, Margherita e Sdi. Se il nuovo progetto sarà premiato dal voto, e noi crediamo che lo sarà, l’uscita di scena di Berlusconi potrà finalmente favorire anche nella Cdl la nascita di un grande partito moderato.
Le condizioni perché qualcosa in Italia possa cambiare davvero sono queste. Chi parla d’altro o è un ingenuo o è un paraculo. Pertanto non è solo un bolso argomento di propaganda dire che anche gli elettori moderati che abbiano a cuore un simile esito alle prossime elezioni dovrebbero votare senza esitazione per il partito di Prodi.