Sacrificio a divinità ignote

Viides Luku – Havitetty (“Capitolo Quinto – Devastato”) è per l’appunto il quinto lavoro dei finnici Moonsorrow, adepti di un black metal intriso di suggestioni folk, pagane e sinfonico/epiche. Inno a un destino tragico da seguire – da recitare – sino in fondo, immersi e perduti nella bellezza sconfinata e fiera della natura. Il semplice elenco degli ingredienti non rende appieno lo spessore e la particolarità dello stile della band, incline ai tempi lunghi e all’evocazione di una natura selvaggia e sovrastante, alla quale avvicinarsi non senza timore. Uno stile che li porta, in questo inizio 2007, a pubblicare un full-lenght di oltre 56 minuti composto da due soli brani: “Born Of Ice/Stream Of Shadows” lungo più di mezz’ora e “A Land Driven Into The Fire”.
Sin dagli esordi, la band fondata dai cugini Ville Sorvali (voce e basso) e Henri Sorvali (chitarra e tastiere) pone le basi della costruzione che ora arriva a compimento. Dai primi demo autoprodotti nel 1996 (alcuni dei quali inediti) all’esordio “Suden Uni” (“A Wolf’s Dream” – 2001) l’accento cade sul prezioso lavoro strumentale e sulla durata dei brani, sempre più simili a suites senza per questo sconfinare nel territorio del progressive: anche nell’alternarsi di assalti furiosi e momenti più riflessivi, l’impronta black non viene mai meno. Acquista invece forza e presenza in un’estenuante tessitura per sovrapposizioni: il lavoro delle chitarre, la duplicità vocale e i cori, la scansione ritmica e la dimensionalità tastieristica. Immagini per musica, in libera associazione: i testi, anche in “Capitolo V” sono leggibili a vari livelli e non definitivamente riconducibili a questa o quella filosofia, fermi restando tutti i cliché del pagan-black. Con una line-up completata dal batterista Marko Tarvonen (sin da “Suden”), dal secondo chitarrista Mitja Harvilahti e dal tastierista Markus “Lord” Eurén (questi due dal secondo full-lenght), i Moonsorrow producono “Of Strenght And Honour” (’01), “Stonebearer” (’03) e “Blood Verses” (’05), tutti registrati nei TicoTico Studios della “gelida, ventosa ed alcolica città di Kemi” (nelle parole di Mitja Harvilati – aggiungere agli ingredienti), conquistando a poco a poco gli appassionati entro i confini nazionali e oltre, sino all’apparizione – primo show negli Stati Uniti – all’Heaten Crusade Metalfest di Columbia Heights: non certo l’OzzFest quanto a popolarità ma pur sempre un approdo al di fuori della concentrica (in termini metal) Scandinavia.
E’ al rientro da questo tour che la band annuncia l’inizio della lavorazione di “Capitolo V”, con mezzi e tempo a disposizione superiori al consueto, ciò che si riflette in modo benefico sulla qualità del materiale. Le due “pesanti” tracce lasciano spazio tanto ai cultori del genere quanto ai curiosi, proponendosi come colonna sonora di un’immersione naturale cui ognuno può dare forme, colori e temperatura, accompagnato in alcuni momenti anche da crepitio di fiamme e raffiche di vento. Nella stessa intervista già citata, Harvilati offre la non-chiave di lettura dell’intero album: “Riguarda persone che combattono per Dei che nemmeno conoscono. Affronta anche il soggetto della distruzione totale causata dalla razza umana. Se volete, potete trovarci una metafora della politica estera degli Stati Uniti o della Jihad, ma non si tratta assolutamente di canzoni politiche”. Sarebbe facile rinfacciare al gruppo, a questo punto, una certa comoda superficialità; oltre all’esaltazione di una natura che incontaminata non è più da tempo. Tuttavia, la qualità metallica della materia musicale tempera il giudizio in attesa, magari, di una simile maturazione sul piano lirico. Prima che arrivi la glaciazione.