Un pomeriggio alle primarie

Controllo di avere carta di identità e tessera elettorale, scendo le scale, attraverso la strada. Entro nella sezione di Sinistra e Libertà di via Appennini accolto da bandiere accasciate per la pioggia e dal saluto delle cinque persone che si prendono cura di questo seggio elettorale per le primarie del centrosinistra milanese; guardo la lavagna che dice che 144 persone hanno votato prima di me, chiedo come va, mi rispondono: “Mah, dai, abbastanza bene”. Facciamo quattro chiacchiere, quante volte sono venuti in quartiere i candidati, come sta messo Alonso quando mancano dieci giri. Faccio quattro conti a mente sull’età media dei presenti nella sala (loro cinque e il sottoscritto), arrivo a quarantasei virgola sei periodico. Saluto, esco.
Alla Cooperativa Labriola di via Falck la sala è piena di gente che gioca a carte, due tavoli portano ancora i resti di un pranzo domenicale, forse una festa di un socio, forse il rinfresco di un battesimo. Mi fermo a parlare con uno dei delegati all’accoglienza, portatore sano di spilla pro-Pisapia. “Come va?”, gli chiedo. “Mattina piatta, adesso che è finito il Gran Premio comincia ad arrivare qualcuno”, risponde. “Giovani?”, azzardo. Lui si mette a ridere. “Quello lì – e indica un ragazzo sui ventiquattro-venticinque anni che si sta avvicinando al banco – è il primo che vedo”.
Lo ringrazio, salgo in macchina, attraverso un pezzo di quartiere per arrivare all’atrio del Consiglio di Zona 8, dove incontro un paio di conoscenti. Faccio le stesse domande a un signore dalla barba rada e bianca che pare non aspettare altro che scambiare quattro parole con qualcuno. Non arriveremo certo ai numeri delle primarie precedenti, mi dice, e la pioggia e il Gran Premio e stasera il derby e i giovani, ma lo sai cosa dice Albanese, i giovani sono il problema mica la soluzione e dammi retta, ha ragione lui, e poi tirare fuori la gente di casa, qui sono tutti barricati, tutti chiusi, lo sai come sono gli anziani no? che hanno paura di tutto, che tutto gli dà fastidio, lo sai cosa dicono – tri negher, tri zingher – e per loro il problema è tutto lì, io a volantinare al mercato del sabato non ci vado più, lo capisci lontano un miglio che non gliene frega niente a nessuno. Lo ascolto come si ascolta un reduce, uno che ha fatto le manifestazioni degli anni Settanta per avere gli autobus e le scuole e i medici di base e adesso abbiamo la metropolitana e il centro commerciale e il parcheggio riservato ai residenti, parla per un quarto d’ora alternando italiano e milanese e quando lo saluto mi stringe la mano e mi dice grazie.
Risalgo in macchina, guido fino alla circonvallazione, al gazebo di Piazza Stuparich. Mi fermo sotto la pioggerellina grigia da Macondo padana, osservo la decina di persone che presentano documenti e i due euro di contributo spese per dire chi vorrebbero come candidato a fare il sindaco della loro città. Non vedo nessuno sotto i trentacinque anni, un terzo sono probabilmente pensionati. Finisco il mio giro parlando con Luigi della sezione Pd di via Ratti a Trenno, che mi dice quanto sia sempre più difficile parlare di politica, fare politica anche in una zona come questa, centonovantottomila persone che portano il solo Pd a circa il 30 per cento, roba che Bersani ci metterebbe una firma o due, abbiamo un informatico bravo, abbiamo messo su il sito ma è dura trovare gente che ci scriva sopra, non c‘è il tempo e non sappiamo nemmeno bene come fare, se ti interessa magari ci puoi dare una mano.
Gli stringo la mano, lo ringrazio, attraverso la piccola piazza che per ironia della sorte si chiama San Giovanni, vado verso casa con la sensazione che la gente che ho incontrato oggi tiene botta, tiene botta ogni giorno comportandosi come il buon padre di famiglia del codice civile, e come questo si sente spesso sopraffatta dallo spaventoso compito di mettere insieme, nelle vie di un ex quartiere popolare grande come quattro o cinque province della Sardegna, le esigenze di gente impaurita, incattivita e spesso impoverita, con gli schemi di una politica che semplicemente non sa come fare.