L’ultima novità della Seconda Repubblica

Il governo di Enrico Letta si presenta a tutti gli effetti come l’ultima novità della Seconda Repubblica. Da un lato appare come l’apoteosi del ventennio berlusconiano, con il vicesegretario del Pd alla guida e il segretario del Pdl a fargli da vicepremier, dall’altro come l’ennesimo, disperato tentativo di fuoriuscirne. Tentativo omeopatico, che segue il fallimento della soluzione tecnica, evaporata alla prova del governo, e l’inutile agonia dell’alternativa politica, di fatto già morta nelle urne del 25 febbraio, ma in verità mai neppure tentata. Se tralasciamo infatti l’incredibile serie di contraddizioni accumulate negli ultimi due mesi dal Pd, il governo Letta appare pienamente coerente con la linea disegnata da Pier Luigi Bersani nella direzione dell’8 giugno 2012. Quando cioè il segretario del Partito democratico confermava pieno sostegno al governo Monti, addirittura sino alla scadenza naturale della legislatura, e invece delle elezioni invocate da Stefano Fassina proponeva primarie aperte per la leadership del centrosinistra.

La svolta era molto significativa. Per rendersene conto basta confrontare la piattaforma congressuale su cui Bersani era stato eletto nell’ottobre 2009 con le conclusioni di quella direzione del giugno 2012, ma anche con la linea tenuta in quelle stesse settimane sulla riforma della legge elettorale: inflessibile tanto nel rifiuto delle preferenze quanto nella richiesta di un forte premio di maggioranza. L’esito, come noto, era il mantenimento dell’attuale legge elettorale, senza preferenze e con un premio di maggioranza semplicemente spaventoso. Ed è difficile non vedere in proposito una precisa critica da parte del presidente della Repubblica, nel passaggio del suo discorso alle Camere dedicato alla mancata riforma della legge Calderoli, quando il capo dello stato ha parlato di “una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento”.

Si dice che il cielo acceca chi vuol perdere. Di sicuro, dopo essersi posizionato saldamente nel ruolo del più leale sostenitore del governo Monti, pensando di assorbire il voto di protesta e ogni spinta centrifuga grazie alle primarie, il Pd è stato preso del tutto alla sprovvista dal risultato elettorale, al vertice come alla base. Di qui l’impazzimento degli ultimi due mesi, culminato nell’esplosione dell’intero gruppo parlamentare nel voto sul Capo dello Stato, con le conseguenze che sono ancora sotto gli occhi di tutti.

Certificato il fallimento dei tecnici e consumata anche la soluzione politica, il tentativo di Enrico Letta è dunque l’ultima strada rimasta: la buona, vecchia, cara via di mezzo. Con Letta e Alfano in prima linea, ma senza Berlusconi e D’Alema alle loro spalle. Con Emma Bonino e Gaetano Quagliariello in dicasteri importanti come Esteri e Riforme, ma entrambi ben lontani da questioni eticamente sensibili. Con Fabrizio Saccomanni all’Economia, e cioè un tecnico, che però nulla ha avuto a che fare con il governo Monti, il quale per parte sua dal nuovo esecutivo rimane fuori, con la maggior parte dei suoi ministri.

Il risultato finale è il primo esecutivo di Grosse Koalition della storia repubblicana. Un esito tipico del sistema tedesco, che paradossalmente viene raggiunto al termine dell’ennesima ubriacatura presidenzialista e maggioritaria, rilanciata proprio dalla svolta compiuta dal Pd nel giugno 2012. Ma nonostante quella svolta sia sfociata nel più spettacolare fiasco elettorale di questi vent’anni (la tanto bistrattata gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto prese due milioni di voti in più), una simile linea – secondo paradosso – sembra oggi largamente maggioritaria nel Pd, rilanciata da Matteo Renzi come da Enrico Rossi, oggi tutti per il semipresidenzialismo. Una soluzione da molti considerata l’inevitabile concessione alla pressante richiesta popolare di rinnovamento e governabilità, che era giusto giusto – ed è il terzo paradosso di questa interminabile crisi politica – la riforma approvata quindici anni fa dalla famigerata bicamerale presieduta da Massimo D’Alema.

P.S. Ieri avevamo illustrato questo articolo con una foto della Famiglia Addams. Oggi però abbiamo visto la stessa spiritosaggine sul blog di un comico di seconda fila. Ne abbiamo concluso che evidentemente non doveva essere così originale, né così spiritosa, e l’abbiamo tolta. (28/04/2013)