Modello ateniese

L’atto di nascita della democrazia ateniese è una riforma elettorale. Nei giorni in cui tutti i maggiori partiti italiani discutono di come riformare le istituzioni, il sistema di voto e le immunità, può forse essere utile un veloce ripassino su come tali problemi furono affrontati duemilacinquecento anni fa.

Nel 507 avanti Cristo Clistene ridisegnò i collegi elettorali che eleggevano la Bulé, il consiglio della città, l’organo che aveva la competenza esclusiva sulle proposte di legge, sulla gestione delle finanze pubbliche, sulle relazioni estere, sull’esercito e sulla sicurezza. Clistene divise il territorio ateniese in tre regioni: area urbana, zona costiera ed entroterra; ogni regione fu divisa a sua volta in dieci circoscrizioni territoriali, ciascuna delle quali formava un collegio elettorale assieme ad altre due circoscrizioni delle rimanenti due regioni. Il risultato erano collegi elettorali geograficamente compositi: gli abitanti di una circoscrizione dell’area urbana votavano insieme ai corrispettivi della costa e a quelli dell’entroterra. Siccome a ogni regione corrispondevano gruppi sociali differenti – piccola borghesia nella città, grandi proprietari terrieri nell’entroterra, ceto mercantile nella zona costiera – il risultato della riforma fu quello di “mescolare la popolazione” e scardinare i blocchi politici legati ai gruppi sociali predominanti in ciascuna regione. In altre parole, i diversi ceti di cui era composto ciascun collegio dovevano accordarsi su un candidato che li rappresentasse tutti. Come dire: larghe intese preventive.

Passarono alcuni decenni e Pericle, un uomo politico di nobilissime origini a capo della fazione democratica, mise mano al funzionamento della politica: istituì il misthòs. A ogni cittadino ateniese venne riconosciuta un’indennità per la propria partecipazione all’assemblea cittadina nella quale si votavano le leggi. Era una rivoluzione, la nascita della democrazia diretta: ora anche i cittadini meno abbienti, lavoratori, artigiani e contadini, potevano partecipare attivamente alla vita politica della città, perdere una giornata di lavoro, venire in città, partecipare al dibattito, prendere decisioni o essere giudici nei processi. La politica non era più un’attività di competenza esclusiva di chi se la poteva permettere.

Pericle fece dunque in modo che la politica e il ceto politico fossero finanziati dallo stato; grazie al finanziamento pubblico qualsiasi cittadino, anche il più povero e oscuro, poteva dedicarsi alla politica e, grazie al sistema dell’estrazione a sorte (che si riteneva il più egualitario), diventare giudice, o essere, almeno per un breve tempo, capo dello stato. Il finanziamento alla politica divenne l’architrave del sistema democratico di Atene, l’importanza politica del misthòs era tale che, decenni dopo, il primo atto compiuto nel colpo di stato oligarchico del 411 fu quello di abolirlo e di ripristinare l’antica gratuità delle cariche pubbliche.

Il meccanismo della rotazione delle cariche e del sorteggio, d’altra parte, non impedì che l’uomo politico più intelligente del mondo antico – Pericle, appunto – fosse eletto alle massime cariche dello stato per lunghissimi anni. Grazie al consenso che seppe raccogliere intorno a sé, Pericle poté infatti dispiegare la propria azione politica in un programma di largo respiro che solo una continuità di governo pluriennale poteva consentire. Accelerò il carattere mercantile dell’economia ateniese attraverso un forte intervento politico nei rapporti con le altre città dell’Egeo e avviò un gigantesco programma di lavori pubblici che si sviluppò per oltre un ventennio coinvolgendo intellettuali, proletari e ceti imprenditoriali nella ricostruzione dell’Acropoli, dando alla città piena occupazione e permettendo ad Atene di primeggiare a lungo sulle altre città della Grecia dal punto di vista economico oltre che culturale.

Pochi anni prima dell’ascesa di Pericle, un altro capo popolare, Efialte, aveva varato una colossale riforma della giustizia. L’Areopago, il principale tribunale della città, antichissimo organo di giustizia da sempre in mano all’aristocrazia cittadina (vi si entrava per cooptazione e la carica era vitalizia), fu svuotato delle proprie prerogative che furono assegnate all’assemblea popolare, al consiglio e ai tribunali popolari i cui giudici erano estratti a sorte tra tutti i cittadini. La portata politica di questa riforma risiedeva nel fatto che nella democrazia ateniese, incredibilmente conflittuale, era in tribunale che, alla fine, veniva risolta la maggior parte dei conflitti politici. Nel contesto di una democrazia diretta, la giustizia diventava facilmente la prosecuzione della politica con altri mezzi.

Pericle e il suo entourage furono in effetti al centro di accuse di ogni tipo, quasi certamente false e strumentali, da parte dei loro avversari politici: sua moglie Aspasia fu accusata di aver corrotto le fanciulle ateniesi allo scopo di soddisfare le perversioni sessuali del marito (in pratica di sfruttamento della prostituzione); Fidia, direttore dei lavori del grande piano architettonico e urbanistico dell’acropoli di Atene, fu accusato di essersi impossessato di parte dell’oro destinato alla statua di Atena del Partenone; il filosofo Anassagora fu accusato di empietà (e condannato) per aver sostenuto che il sole e la luna erano rispettivamente una massa incandescente e un globo roccioso invece che delle divinità.

Pericle stesso fu a lungo accusato di malversazione dai suoi avversari politici. Lo strumento con cui si evitò che l’attività politica fosse paralizzata e la carriera di Pericle distrutta dal proliferare di accuse spesso pretestuose fu molto semplice: alla fine del mandato annuale, ogni politico doveva presentare i rendiconti economici della propria attività; ma se fosse stato rieletto per l’anno successivo il processo sarebbe stato rimandato alla scadenza della carica. E così via. In questo modo un politico eletto dai cittadini era messo al riparo da accuse che, in quel contesto, facilmente potevano essere false e, senza che gli fosse garantita l’impunità, si impediva che l’attività di governo fosse perennemente bloccata. In poche parole, una specie di immunità parlamentare.