Piccolo è grande

Da un articolo del New York Times, ripreso sul Corriere della Sera odierno a pagina 26, abbiamo appreso che gli stilisti di Londra e Parigi trasuderebbero intelletto e filosofia, mentre quelli milanesi baderebbero semplicemente a fare roba che si vende, senza badare, col taglio delle giacche, a trarre un senso dal caos. Nulla, a dire il vero, potrebbe personalmente interessarci di meno perché, male educati da padre giansenista, la visibilità della griffe ci pare da sempre valore sottratto anziché aggiunto alla proiezione pubblica dell’idea che abbiamo di noi stessi.

Tuttavia, la diatriba ci ha affascinato col riproporsi del secolare luogo comune per cui i grandi popoli (negli ultimi secoli gli anglosassoni, i francesi e i tedeschi; d’ora in poi anche cinesi, indiani etc.) fanno e significano la storia, anche a cannonate, mentre gli italiani (in compagnia di ebrei, greci, armeni, georgiani e varie tribù carpatiche) sono visti come una specie opportunista, che si adatta alla storia fatta dagli altri, lasciandogli la retorica imperiale e badando ad affari cui bastino le strutture sub-statuali (famiglia, cosca, salotti).

Diciamo che fin qui è andata così e che in effetti abbiamo talmente introiettato il nostro vivere nella storia altrui da scambiarlo con la nostra identità profonda, anziché come un frutto contingente, figlio di circostanze che possono cambiare. E che in effetti pare stiano cambiando sotto la spinta della globalizzazione. “Ma come – starà già pensando qualcuno – non dovremmo tanto più, come le canne che siamo, piegarci (pur di non spezzarci) al vento disruptivo degli scambi e delle delocalizzazioni globali? E quindi – come afferma con forza Gabbana – tanto più rannicchiarci nel dare ai clienti gli abiti del giorno per giorno, senza avventurarci a fargli indossare retoriche per le quali non abbiamo né il cervello né i muscoli appropriati?”.

Può darsi, ma può darsi anche il contrario. Può darsi infatti – come ha sostenuto l’altro ieri Macron – che per continuare ad essere felicemente piccoli si debba diventare anche grandi. Il che riguarda tutti gli europei, pensando alla Difesa, delegata agli USA, che però non sono più quelli di una volta grazie a Trump, il Salvini delle loro praterie. In sostanza non si può affatto escludere, e sarebbe il quid di cui discutere in campagna elettorale, che siccome il gioco si fa duro, tocca anche a noi entrare in qualche amalgama che ci dia maggiore durezza, accanto alla nota flessibilità.

Resta (come non porselo?) il problema: cambierebbe, a seguito del suddetto indurimento, il modo di fabbricare cinture, cravatte e piastrelle? Probabilmente no. Ma di certo forzeremmo l’aura filosofica con elementi mitici oltre che estetici. E ce ne sarebbe di lavoro, volendo, per tanti intellettuali oggi sotto occupati, anche se la prova non sarebbe facile per un popolo che si crede antiretorico, ma forse è solo rattrappito. Ma vuoi mettere la soddisfazione di fargliela vedere, a quei modaioli elitari del New York Times?