La solitudine di Gomorra

Babbo Natale (non osiamo attendercelo da Gesù Bambino) ci porterà il finale di Gomorra e nel contempo ci sbarazzerà della dibattuta questione del “cattivo esempio senza contraltari” che il programma starebbe offrendo (ancora, qualche sera fa, il sindaco di Napoli ha detto all’inclito pubblico del Premio Napoli, che “le stese” (l’aggirarsi sparacchiando al cielo) dopo la messa in scena nella fiction, si sono non casualmente moltiplicate nella realtà). Il punto problematico è che, per quanto negativi, gli “eroi del racconto” non sono meno eroici e ammirabili di quelli positivi, perché sono resi eroici dal meccanismo stesso delle vicissitudini, dei colpi e dei rovesci di fortuna, degli ostacoli che scavalcano, delle trappole da cui sgusciano. Da qui (complice l’astuzia degli uffici stampa di Sky) il pensoso timore che, empatizza oggi ed empatizza domani, alcuni adolescenti ne traggano slancio per gomorrizzare.

A noi pare invece che i pericoli non discendano dalla negatività etica di Jenny, di Ciro e della loro compagnia di bastardi, ma dalla solitudine del mondo di Gomorra, dal suo bastare a se stessa, come una capsula che contiene e autoregola le proprie azioni e che guarda fuori, alla società che la contiene e dove noi viviamo, solo per investire i soldi spremuti direttamente ai drogati e indirettamente alle vittime della loro diffusa criminalità. Un incapsulamento talmente rigoroso e impermeabile che nessuna figura “buona”, tipo il Ginko anti Diabolik o l’impavido Gary Cooper di Mezzogiorno di fuoco, guasta la compattezza di quell’idillio criminale, mosso solo da machiavellica efficienza ed efficacia.

A noi questa assenza delle “guardie” è parsa pregevole rispetto ai tanti cacciatori dei Pablo e dei Chapo, che recitano una ostilità strutturale fra quelli di dentro (“loro”) e quelli di fuori (“noi”). Perché sappiamo che Gomorra, altro che pulsioni soggettive al male, è frutto di un mercato artificiale generato dal proibizionismo, che rende preziosa la merce proibita e collusivi il consumatore e lo spacciatore. E ne concludiamo che sia questo il dato di fatto per cui uno sbrigativo adolescente arrivi a considerare quel “crimine” come un’occasione, socialmente protetta, per fare quattrini. Stando così le cose, Gomorra non è un cattivo esempio, ma semplicemente esemplare. Tutti i guai derivano da lì.