L’identità sformata

Ci siamo sorbiti ogni maratona elettorale, convincendoci di quanto segue. La destra si è radicalizzata. Ovvero, è sempre la stessa, in quanto somma di visioni tradizionaliste e conservatrici, stataliste e particolariste, ma il carico si è spostato verso la far right, l’estrema destra, come negli Stati Uniti hanno scoperto prima di noi. Riuscirà la destra a controllare le tensioni dovute al cambio di baricentro? Chi vivrà vedrà. Ma intanto quel versante politico e culturale ha manifestata la capacità di “ritrovarsi”. Insomma: la destra c’era e c’è. E i materiali culturali che contiene sono, al fondo, i medesimi di sempre, perché la destra consiste proprio nel tenerli al riparo dai movimenti della storia.

L’altro versante ci azzardiamo a battezzarlo come “alternatività sociale”. Un tempo era detto sinistra, con le narrazioni palingenetiche (comunismo, socialdemocrazia e solidarismi vari), le spinte per egualitari rapporti di produzione (nazionalizzazioni, cogestioni), paghe decenti, servizi sociali anziché assistenziali. Qui, misurata anche dalle elezioni, c’è stata l’evaporazione di visioni organiche e relativi partiti e staziona invece non l’armonico firmamento delle Stelle, ma una nebulosa che, come quelle seguite al big bang, contiene tutto e il suo contrario.

Fra l’uno e l’altro versante, fra l’identità formata della destra e quella sformata del lato opposto, sta il luogo culturale cui il Pd dà rissosa forma politica. Ma non è una casa sul confine, che non sta né di qua né di là, oppure un po’ di qua e un po’ di là. È piuttosto il luogo delle odiate élite –ma l’élite oggi non è il luogo elitario ed esclusivista d’un tempo. Élite che si vedono non in mezzo, ma sopra, perché agganciate al mondialismo, che è sì utopico, ma non inattuale. Insomma, pure quelli del Pd, almeno quelli che ci somigliano, hanno la loro buona dose di radicalità, che definiremmo “fattiva”.

Ci pare, su queste premesse, che l’area Pd sia strutturalmente antagonista della destra, come i liberal democratici americani lo sono nei confronti dei conservatives repubblicani. Mentre sull’altro lato la sfida – altro che favori parlamentari, generosità istituzionale e fregole del genere – è piuttosto per l’egemonia rispetto alle molecole della nebulosa post classista. Il progressismo liberal sarà capace di donargli forme e prospettive oppure la vincerà per sempre il vento retorico del capocomico d’occasione? In sintesi: un muro verso destra, una sfida sul fianco opposto. A pensarci è semplice. Ma di certo non si riduce a un problema di leadership.