La partita più lunga della storia

Tutti gli sport hanno un evento definibile come “il più grande di tutti i tempi”, un momento in cui lo sforzo fisico e psicologico degli atleti in gara si sublima per entrare nella leggenda. Questi eventi, solitamente, sono accompagnati da gesta eroiche e da storie bellissime da raccontare. Nel calcio si ricorda la drammatica semifinale Italia-Germania 4-3: Beckembauer in campo con la spalla fuori uso e il braccio fasciato attorno al petto. Nel basket la pazzesca finale olimpica Usa-Urss con il tiro della vittoria sovietica a filo di sirena nel 1972 e gli americani che gridavano al furto. Il baseball aggiunge a questa galleria di eventi da ricordare l’incontro di postseason giocato in settimana dagli Houston Astros e dagli Atlanta Braves, incontro che tutti gli esperti d’oltreoceano hanno già etichettato come “il più bello della storia”.
Leggere di una maratona di 18 inning durata 5 ore e 50 minuti, praticamente due partite in una, non basta per capire tutte le emozioni che ha regalato una gara giocata sul filo dei centimetri e dei record. Due “grandi slam” (fuoricampo a basi piene) sono un evento raro all’interno della stessa partita e quello degli Astros sul 6 a 1 per i Braves all’ottavo inning ha rimesso in pista un incontro che sembrava ormai compromesso. Poi al nono, in situazione di due eliminati, Brad Ausmus ha inventato il singolo che portava la partita agli extra-inning. La palla andava a colpire il muro di fondo un centimetro sopra la riga che segna il limite del campo per le valide. Un solo centimetro è valso il pareggio, per l’incredulità dello stesso Ausmus e di tutto lo stadio. Quando si arriva agli extra-inning il baseball diventa una gara di resistenza: con le panchine che piano piano si assottigliano, le partite vengono decise dai rincalzi. E quando una squadra finisce i giocatori e non ha nessun sostituto da schierare ha perso. Irrimediabilmente.
Quando Roger Clemens è sceso in campo il nostro cuore si è fermato. Di lui ricordiamo le prodezze sul diamante a metà degli anni ottanta; iniziavamo appena ad appassionarci al baseball. Il Roger Clemens quarantatreenne che è salito sul monte di lancio nel quindicesimo inning era l’ultimo lanciatore a disposizione degli Astros, nessuno avrebbe immaginato che sarebbe riuscito a reggere tre inning quasi perfetti senza concedere punti e lanciando palle a oltre 90 miglia orarie. I tifosi degli Astros tenevano le dita incrociate, e noi con loro, perché a quarantatre anni il braccio può giocare brutti scherzi da un momento all’altro.
Poi, nella parte bassa del diciottesimo inning, entra in campo per gli Astros Chris Burke. Al primo anno vero in Mlb, un promettente futuro davanti e nessun passato. L’esatto opposto di Roger Clemens, che forse pensava già a come lanciare nel diciannovesimo. Non guardava, Roger. L’abbiamo visto infilarsi nello spogliatoio a riposarsi, ma deve aver chiaramente sentito il rumore sordo della palla lanciata da Devine contro la mazza di Burke. Poi il silenzio, interminabile, mentre la palla terminava la sua corsa in mezzo al pubblico ponendo fine all’incontro di postseason più lungo nella storia della Major League. I numeri parlano di un record dietro l’altro (23 giocatori usati dagli Astros, 42 da entrambe le squadre e 553 lanci totali) ma la storia più bella di questo incontro è quella che racconta del miracolo di un lanciatore che era grande dieci anni fa e del ragazzino che con un giro di mazza ha deciso la partita di baseball più bella di tutti i tempi.