A paratrooper assigned to the 4th Brigade Combat Team, 82nd Airborne Division, prepares to land after jumping from a C-23 Sherpa during a unique airborne operation conducted at the Nijmegen Drop Zone, May 7. (U.S. Army photo by Sgt. 1st Class Joseph Armas, 4th BCT, 82nd Airborne Div. Public Affairs)

Un sindacato anche per i militari

Quando si parla di diritti non possono esserci zone franche, soprattutto per un grande partito di sinistra che fa di queste battaglie la propria ragion d’essere. Proprio per questo sono convinto che la questione della libertà di associazione sindacale dei militari vada affrontata con convinzione, e che la posizione del mio partito debba essere più coraggiosa. Soprattutto dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha abrogato il divieto per questi particolari “lavoratori” di iscriversi ai sindacati. La penso come la Corte: i sindacati nelle Forze Armate contribuiscono al buon andamento dell’Organizzazione. Ed è per questo che appare assurdo debbano essere autorizzati preventivamente dal Ministro della Difesa.

Se è vero che i militari hanno una particolare specificità in ragione del loro impiego e che le esperienze maturate nei 40 anni della Rappresentanza Militare sono state significative, questi fattori devono manifestarsi anche sui sindacati, definendo le materie oggetto di contrattazione, aggiungendone altre rispetto alle attuali e ampliando le possibilità di intervento con proposte e pareri – per quanto non vincolanti – anche sull’esercizio dell’attività di comando nonché sui livelli gerarchici di competenza. È nelle cose che i sindacati debbano esercitare attività di tutela e di conciliazione individuale e collettiva sulle materie di competenza. Tutte le più affermate teorie sull’organizzazione del lavoro indicano nella partecipazione attiva ed effettiva del personale nelle scelte strategiche delle aziende un elemento fondamentale per migliorare il rendimento e il benessere.

Nelle Forze Armate è ancora più vero, perché la risorsa umana rappresenta la parte principale dell’organizzazione. Ed allora, occorre più coraggio: mettiamo ad esempio i nuovi sindacalisti nelle condizioni di agire attraverso distacchi e permessi sindacali, ovviamente in base all’effettiva rappresentanza riconosciuta in capo all’associazione sindacale militare di appartenenza. Per evitare la parcellizzazione degli interessi, mi sembra opportuno prevedere anche la possibilità di costituire sindacati che coinvolgano più Forze Armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare. Allo stesso tempo va affermato il principio che i militari eletti negli organismi dirigenti dei sindacati militari non siano perseguibili disciplinarmente per le opinioni espresse nell’espletamento dei compiti connessi con lo specifico mandato.

La stessa organizzazione dei sindacati militari non può, insomma, che essere simile ai sindacati che conosciamo: deleghe sindacali, rappresentanza sulla base degli iscritti, finanziamento esclusivamente dai tesserati e cariche elettive. Come pure sarà importante consentire il corretto esercizio delle relazioni sindacali attraverso la disponibilità presso le caserme di locali idonei per l’espletamento delle attività. Tutte le innovazioni potranno comportare qualche difficoltà oggettiva. Proprio per questo, a fronte di una così importante innovazione, occorrerà stabilire specifiche procedure di raffreddamento e di conciliazione per le controversie particolarmente complesse. Insomma, serve una riforma che non neghi diritti e nemmeno crei confusioni, ma che declini effettivamente il principio sancito dalla Corte Costituzionale affinché la struttura militare possa essere sempre più efficiente.