Come sono diventato un hacker

Racconto un buffo episodio che mi è capitato in questi giorni. Una di quelle piccole, appena percettibili slabbrature nel circuito della comunicazione da cui si vede all’improvviso, come direbbe il poeta, “l’anello che non tiene”. E s’intravede un mondo. Per farla breve, vi racconto di come da un giorno all’altro, e senza aver fatto un bel nulla, sono diventato un hacker.
Ebbene, nella tarda mattinata di venerdì, ancora ignaro di quel che stava succedendo e intento a occuparmi di tutt’altro, comincio a ricevere sul telefonino una serie di sms da persone che mi assicurano il loro sostegno nella difficile campagna elettorale in cui, a mia insaputa, mi trovo evidentemente impegnato. Dopo alcuni secondi di smarrimento capisco che si tratta del sondaggio on line uscito sul sito dell’Espresso, che la sera prima – lo confesso – avevo anche segnalato sulla mia pagina Facebook. Nel sondaggio si esortano i visitatori a votare per “Chi sarà tra cinque anni il leader del Pd”. E giù una lista di una decina di “giovani promesse”, scelte non ho capito secondo quale criterio, in cui tra gli altri figura il mio nome. Ora, io, personalmente, ho sempre considerato questi sondaggi on line un trucco degno delle peggiori compagnie di assicurazione, con quella scritta in piccolissimo nascosta da qualche parte dove si assicura che simili sondaggi non hanno alcun valore scientifico, salvo poi diffonderne i risultati su giornali e agenzie come fosse l’indiscutibile verdetto del popolo. In questo caso, poi, il gioco è fin troppo scoperto: accanto ai nomi di “giovani” più e meno sconosciuti (a cominciare dal mio, che certo non sono una rockstar), figura infatti, unica eccezione alla regola, quello di Nichi Vendola. Gli altri, nell’ordine, sono: Giuseppe Civati, Maurizio Martina, Federica Mogherini, Matteo Orfini, Fausto Raciti, Matteo Renzi, Ivan Scalfarotto, Debora Serracchiani. Oltre alla presenza di Vendola, si noterà l’assenza di Nicola Zingaretti (sette anni meno di Vendola), giusto per fare un esempio, o di Enrico Letta (otto anni meno di Vendola), per farne un altro. Due dirigenti che forse tra i giovani in ascesa come potenziali leader del Pd avrebbero avuto qualche titolo di esserci in più del presidente della Puglia (e di me, s’intende), fosse anche solo perché Vendola, fino a prova contraria, non è del Pd, essendo già il leader di un altro partito.
Se mi sono dilungato in questa analisi non è per fare le pulci all’Espresso, ma per spiegare la ragione di quegli sms. Provate a mettervici voi, insomma, nei panni di chi magari ha votato Vendola alle primarie come governatore della Puglia, da militante del Pd, e poi gli ha fatto la campagna elettorale, e lo ha votato alle elezioni, e ora se lo vede un giorno sì e l’altro pure sputare sentenze sul Pd e sui suoi dirigenti, a tutto pensando meno che al governo della Puglia, per poi organizzarsi anche il suo ennesimo partitino personale, le “fabbriche di Nichi”, su tutto il territorio nazionale. Forse i dirigenti di Sinistra e libertà, dinanzi a questo lirico predellino, non avranno nulla da ridire. Ma è chiaro che ai militanti del Pd, e non solo in Puglia, la cosa comincia a seccare. Figurarsi poi a quelli che magari non lo avevano votato nemmeno alle primarie, e accettato il risultato si sono generosamente impegnati per la sua vittoria alle elezioni, e ora si vedono agitare proprio quella vittoria come la prova che i loro dirigenti e le loro idee sono da buttare. Idee e dirigenti che peraltro, vorrei ricordarlo a tanti infaticabili sostenitori delle primarie, hanno vinto un regolare congresso, e primarie nazionali, nemmeno sette mesi fa. Motivo per cui in breve tempo ho cominciato a ricevere messaggi di sostegno alla mia inconsapevole “campagna elettorale” un po’ da tutta Italia. Insomma, per quanto votare per me, sia pure solo in un sondaggio, possa essere considerato imperdonabile, c‘è da capirli. E in ogni caso, da parte mia, da ringraziarli di cuore, si capisce. Ciò non toglie che quella stessa mattina ho risposto subito agli sms dicendo che lasciassero perdere, che non ne valeva la pena. Fatto sta che a un certo punto sono schizzato addirittura in testa alla classifica. E così mi sono beccato pure le accuse di hackeraggio, truffa, oscure manovre e tutto il solito corredo di carinerie che generalmente si accompagna alla definizione di “dalemiano”.
Detto tutto questo, mi permetterei di lanciare una modesta proposta: una moratoria di simili scemenze. Il gioco è fin troppo scoperto, e suscita ormai soltanto irritazione e sconcerto, scavando ulteriori divisioni nel nostro mondo, come dimostra la surreale sfilza di accuse e controaccuse di “brogli” che questa buffa vicenda ha scatenato. Davvero, non ce n‘è proprio bisogno. Già i sondaggi veri, come abbiamo visto tante volte, hanno un’attendibilità pari forse solo a quella delle agenzie di rating (e ogni tanto mi viene pure il sospetto che siano utilizzati allo stesso modo). Ma lanciare anche sondaggi on line “senza alcun valore scientifico” appare davvero un’esagerazione, oltre che un’inutile tautologia. E pure una forma di concorrenza sleale nei confronti dei sondaggisti di professione.
Insomma, una buona volta, finiamola. Ma soprattutto, lo dico ai tanti militanti ai quali quest’ultimo giochino ha fatto perdere la pazienza, smettiamo di prestarci attenzione. Clicchiamo tutti per Vendola, facciamo contento l’ingegner De Benedetti, e torniamo a occuparci di cose più serie, prima che su Repubblica e l’Espresso ricomincino a spiegarci che siamo lontani dai problemi reali del paese, perché pensiamo solo ad accapigliarci tra di noi per chi debba fare il leader.