Il caso de Bortoli

Sabato 16 aprile Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della sera, si è reso volontariamente protagonista di un piccolo ma molto significativo episodio. Tanto significativo da meritare un breve riassunto delle puntate precedenti. Cominciamo dunque dall’inizio. In un editoriale di prima pagina sul Corriere della sera del 2 febbraio, Ernesto Galli della Loggia definisce il Pd “un partito dove non c’è vero dibattito politico, dove non c’è lotta politica su proposte concrete e contrapposte”, che “non ha alcuna identità programmatica”. Il giorno dopo Roberto Seghetti, responsabile dell’ufficio stampa del Pd, scrive in una breve lettera al Corriere che il Pd ha presentato numerose proposte programmatiche su tutti i temi principali, dal fisco all’immigrazione. Galli della Loggia gli risponde dunque così: “Non avendo canali privilegiati le mie informazioni sul Pd provengono unicamente da ciò che leggo sui giornali (più d’uno, per la verità). Credo allora di essere in numerosa compagnia se dico che non ho mai, dico mai, letto una riga da nessuna parte sul programma di cui dice Seghetti. Tantomeno sulla riforma fiscale (nientemeno!) che sarebbe stata addirittura «approvata come mozione a Montecitorio» (Che cosa vuol dire? Non è affatto chiaro). Forse ci vuole qualche messa a punto nel modo di lavorare dell’Ufficio stampa”. Sul tono, sulla signorilità e soprattutto sulla logica di tale risposta, ognuno può giudicare da sé.
Sabato, però, a scrivere una lettera di protesta al Corriere è direttamente il responsabile economia del Partito democratico, Stefano Fassina. Lo fa per ricordare che il Pd ha elaborato una sua versione del Programma nazionale di riforma richiesto dall’Europa, che ha organizzato il 21 marzo un incontro su questo con tutte le forze sociali, che ha quindi accolto alcune delle loro osservazioni e mandato il testo finale al ministro dell’Economia (chiedendo che si aprisse in merito una discussione parlamentare), per poi distribuirne copia ai giornali e infine presentarlo ufficialmente in conferenza stampa. A differenza di tanti altri quotidiani, scrive Fassina, il Corriere non ha mai dato alcuna notizia in merito, neanche una riga, neanche il 14 aprile, giorno in cui dedicava due pagine al piano del governo. Quindi, rivolgendosi al direttore, conclude piccato: “Di fronte a tale situazione, non le chiedo di recuperare le, credo non accidentali, omissioni. Le chiedo la cortesia di informare i suoi editorialisti di evitare lo stanco ritornello del Pd privo di progetto, del Pd impegnato soltanto nell’antiberlusconismo, di opposizione assente e priva idee”.
Sul Corriere della Sera del 15 aprile, tuttavia, della lettera di Fassina non c’è traccia. In compenso, diventa un piccolo caso su internet. Un caso che forse al direttore del Corriere ne avrà ricordato un altro, in cui c’era ancora di mezzo un articolo di Galli della Loggia, misteriosamente scomparso dal giornale all’ultimo minuto. Mistero chiarito dallo stesso de Bortoli il giorno dopo, quando si decide a pubblicare l’articolo in questione, spiegando che “per un errore tecnico” era comparso sul sito con ventiquattro ore di anticipo, mentre la direzione aveva deciso di rinviarne la pubblicazione, e che “sempre per lo stesso errore tecnico”, la prima pagina sbagliata era stata inviata a Sky per la rassegna stampa, nonché in alcune tipografie estere, dove il giornale va mandato prima (d’altra parte, cercate di capire: non era mica un articolo contro il Pd, era un editoriale in cui si criticava il Pdl).
In ogni caso, il 16 aprile, senza nemmeno correggere i riferimenti temporali, la lettera di Fassina sul Corriere compare, seguita da questa replica di Ferruccio de Bortoli: “Caro Fassina, le vostre proposte sono così innovative che passano inosservate. E lei sa che il Corriere è aperto a ogni vostro contributo. Anche il più inutile. È accaduto spesso”.
Anche qui, lasciamo al lettore ogni giudizio sullo stile della risposta, e sulla visione del mondo che esprime. Un tema che meriterebbe senza dubbio una trattazione diffusa e articolata. Il motivo per cui abbiamo voluto ripercorrere tutta la vicenda è però un altro: mostrare come si forma, passo dopo passo, un luogo comune giornalistico, una caricatura, un bersaglio di comodo. Si possono avere tutti i dubbi del mondo sul valore del programma elaborato dal Pd, naturalmente. Ma non si può sostenere ogni giorno che il Pd non è in grado di avanzare proposte – non che ne avanzi di cattive, ma che non ne abbia proprio – e poi rivendicare il diritto di ignorarle deliberatamente. Un direttore di giornale ha il diritto di criticare un partito, così come ha il diritto di non pubblicare un editoriale sgradito. Ma allora non tiri in ballo la noia, i cattivi uffici stampa o inverosimili concatenazioni di “errori tecnici”. Don Abbondio almeno il suo latino lo sapeva.