Agostino e il protocollo di Kyoto

Stamane non so ancora che tempo fa. Non ho consultato le previsioni meteorologiche, non ho letto alcun bollettino, non ho visto le immagini del satellite e insomma non so nulla dei livelli di precipitazione, delle direzioni dei venti e dei moti ondosi.
Forse sono un irresponsabile. Forse dovrei frequentare un corso di meteorologia multimediale, acquistare un anemografo elettrico autogeneratore, acquistare una biografia del colonnello Bernacca o almeno leggere sui settimanali cosa ti combina il colonnello Giugliacci. Ma il fatto è che continuano a tornarmi in mente le parole di Sant’Agostino: “Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, più non lo so” (Confessione, XI, 14). Ora mi direte che Sant’Agostino non si riferiva affatto alle condizioni del tempo, ma non ci posso far nulla, mi rammento di quelle sante parole e mi viene di pensare che del tempo atmosferico è ormai vero esattamente il contrario: sono tutti lì a chiedere che tempo fa, e c’è sempre, in video, qualche simpatico ufficiale del servizio aeronautico nazionale a spiegare, interrogato, come evolverà il tempo sull’Italia. Perbacco se lo sa! Ma senza l’ausilio della meteorologia, senza il conforto di un termoigrometro, senza lo straccio di un’immagine satellitare ad alta risoluzione, nessuno sa più rispondere, nemmeno quando si domandi non che tempo farà, ma insomma, che tempo fa e se fuori piove. Di quel sapere “naturale” del tempo che sant’Agostino diceva di avere, immediatamente e senza spiegazioni (e anche senza previsioni a breve, medio o lungo termine), sembra non esserci alcuna traccia quando si tratti invece del tempo atmosferico.
Contemporaneamente, le preoccupazioni circa il cambiamento climatico globale aumentano. Chi vuol fare il catastrofista si occupi oggi del clima: il pianeta si sta surriscaldando. I ghiacciai si stanno sciogliendo. Il livello del mare sale. Le estati sono sempre più torride. Quando fa freddo, fa sempre un freddo record, e quando fa caldo, fa sempre un caldo record. Non ve ne siete accorti? C’è sempre un angolo di Italia in cui a ogni stagione si raggiunge un record: foss’anche il record di densità dei fulmini per chilometro quadrato, o quella della dimensione dei chicchi di grandine. E’ la statistica, bellezza. Lo dicono i numeri, lo dicono le cifre.
Ora, l’ho già scritto: sono un irresponsabile. Se infatti c’è una political correctness, questa vale anche e soprattutto sui temi dell’ambiente. Uno che ammetta candidamente di non avere una spiccata sensibilità per l’ecologia non lo si trova neanche a pagarlo. E infatti non lo ammetterò neanche io. Tutt’altro. Vorrei anzi far notare, quanto profondamente stia mutando e sia mutato non il clima della Terra, ma il nostro modo di starci, su questa Terra. Quanto poco ci fidiamo di noi stessi: dei nostri occhi che scrutano l’orizzonte sul mare, dei dolori articolari quando c’è umido o del cattivo umore quando il cielo è nuvoloso. A qual punto ci siamo allontanati da quella fidatezza naturale nei segni del tempo, per cui se è rosso di sera bel tempo si spera, e una rondine non fa primavera.
Non scambiate però questa tenera confessione per una forma di luddismo meteorologico. Forse è difficile trovare la giusta misura, ma non c’è bisogno di condire questa consapevolezza in salsa apocalittica. Io, per esempio (sia detto qui en passant), sui termini scientifici del protocollo di Kyoto qualche dubbio ce l’ho. Ma penso che non c’è da far drammi, né da stare allegri: basta capire che la tecnica non è magia bianca né magia nera. Modifica ma anche prevede: è la ciminiera ma anche il satellite. E se non ha un equilibrio in sé, non è neppure il principio di ogni insano squilibrio. Insomma, nessuno spergiuro, ma neanche c’è da giurarci sopra.
(Mi dicono che fuori farà molto freddo, questa settimana, e che il Ministero della Salute consiglia caldamente, in attesa di imporla per legge, la maglia di lana. È lunedì, e si va al lavoro tutti intabarrati).