Il gusto delle cose particolari

E’ sempre più comune che qualcuno racconti di aver mangiato “cose particolari” da qualche parte, con l’aria soddisfatta di chi si è liberato del fardello della cucina di mamma ed è proiettato verso nuove realtà gastronomiche. In effetti, lo scetticismo generale nei confronti di eventuali nuovi sapori è diminuito di molto e anche nelle case si tende a dare una svecchiata ai repertori culinari, magari avvalendosi dei preziosi consigli proposti dai media del settore, mai cosi prolifici come in questo periodo. Quello che ci si chiede è se le nuove proposte dei ristoranti, delle trasmissioni e dei libri di cucina siano poi così innovative o non siano solo variazioni sul tema.
Le “cose particolari” di cui sopra sono perlopiù “ravioli di coda alla vaccinara”, “mezze maniche con cipolla, pomodoro e guanciale croccante” (per gli amici matriciana), “tortino di baccalà su crema di ceci” (come ogni venerdì che si rispetti) e tante altre pietanze che, pur cercando di evaderne, hanno le loro radici nella tradizione. L’abbinamento dei sapori si può considerare un’arte, come tale è basata su dei canoni di piacevolezza secolari e sono molto pochi gli chef in grado romperli creando qualcosa di veramente particolare e allo stesso tempo gustoso. Lo scopo della cucina così rivisitata è quello di accontentare la clientela media italiana, da sempre stata più che diffidente sui sapori non squisitamente nostrani, soddisfacendo però il bisogno di mangiare qualcosa di nuovo.
Chi scrive non mette in dubbio i buoni risultati di molte rivisitazioni. Anzi, li preferisce di gran lunga sia ai tentativi di imitare chi veramente riesce a essere creativo (basti pensare a quando, dopo l’esplosione del cuoco catalano Ferran Adriá, nella medio-alta ristorazione italiana molte portate erano a base di spume, gelati o sorbetti salati), sia alle contaminazioni etniche che al momento sono molto alla moda (il pesce crudo, prima dell’esplosione del Sushi, sembrava un’eresia, adesso è un delitto mangiarlo cotto). Difficilmente, però, una reinterpretazione risulta più piacevole della ricetta tradizionale su cui è basata. Anzi, spesso si dimostra solo un tentativo di stupire, a dispetto della qualità delle materie prime e della puntualità delle cotture. Come risulta difficile essere innovativi, infatti, non è facile “rivisitare” sapientemente.