Tommi Iommi, spiral architect

Sapevo con certezza che per il nuovo album non avrei utilizzato una schiera di ospiti speciali. Volevo solo un cantante e volevo che fosse come una vera band, questa volta. L’idea era di andare in studio con Glenn e Kenny e suonare dal vivo… suonando dal vivo in studio, puoi capire come sta andando e se le canzoni funzionano”. Questa la presentazione di “Fused”, terzo album solista ufficiale di Tony Iommi, chitarra dei Black Sabbath, nelle parole dello stesso. Con la complicità del basso di Glenn Hughes, altra colonna portante dell’hard e del metal (ex-Trapeze, ex-Deep Purple, e una lunga e nutrita carriera solista) e della batteria di Kenny Aronoff (un curriculum impressionante di collaborazioni: Rolling Stones, Bob Dylan, Rod Stewart, Alice Cooper, Bob Seger, Lynyrd Skynyrd, a tutti offrendo il contributo di un drumming potente), Iommi realizza un interessante excursus nell’heavy metal, genere del quale è un capostipite e un fedele, scrupoloso continuatore. “Fused” non cambierà la storia di questo genere, né offre passaggi innovativi – ma non è questo lo scopo; dall’alto della sua carriera e del suo indubbio talento, l’axe-man dei Sabbath può permettersi di incidere un lavoro che riassume, in un colpo solo, tutte le sue ossessioni. “Fused” è un concentrato del suo stile. Ascoltandolo è inevitabile non riconoscere quei passaggi, quel tocco, quei cambi di ritmo che costituiscono la spina dorsale dei migliori brani dei Black Sabbath nelle varie formazioni: ci sono echi dei primi, basilari, quattro album (“Black Sabbath”, ”Paranoid”, ”Master of Reality”, “Vol. 4”); della resurrezione con Ronnie James Dio (“Heaven and Hell”); del power-trio con Tony Martin alla voce e il compianto Cozy Powell alle percussioni (“Headless Cross”, da molti considerato uno dei migliori Sabbath album di sempre; e “Tyr”, interessante e sottovalutato); c’è l’affiatamento con il poliedrico Hughes, una collaborazione iniziata nel 1986 con la partecipazione del bassista a “Seventh Star”, quello che avrebbe dovuto essere il primo album solo di Iommi se la produzione non avesse deciso di intestarlo ugualmente ai Black Sabbath; collaborazione proseguita dieci anni dopo con una session a Birmingham i cui nastri verranno pubblicati solo nel 2004. A “Fused”, il bassista offre il contributo del solido sound del suo strumento, quello che già lo caratterizzava nei Deep Purple di “Burn”, “Stormbringer” e “Come Taste The Band”, adattandosi alla perfezione allo schema disegnato da Iommi. Dopo l’iniziale “Dopamine” sfilano altre nove tracce squadrate, potenti e di un latente doom; in un’alternanza accurata di pause e feroci ripartenze, assoli preziosi e tonitruanti passaggi a tre. Spiccano “Wasted Again”, “Resolution Song”, “Deep Inside A Shell”, “Face Your Fear” e la conclusiva, tortuosa “I Go Insane” (assonante nel titolo con la vecchia “Am I Going Insane” di “Sabotage”), di certo il brano migliore. Se Ozzy Osbourne, sul palco, è l’immagine e l’anima dei Sabbath e del metal, Tony Iommi è la mente, è lo “Spiral Architect” evocato in un’altro classico della band; e come nel disegno della spirale, “Fused” non chiude, non termina, semplicemente continua. Con lenta, ipnotica classe.