Match Point

Per fortuna, Woody Allen ha avuto una buona idea. Gli sarà venuta per caso, passando davanti a quel cartellone pubblicitario del profumo Calvin Klein in cui Scarlett Johansson sorrideva e non guardava. L’ossessione deve essere cominciata lì: una specie di cotta adolescenziale per la più bella del Liceo Hollywood. Intorno ci ha costruito un film, “Match Point”, e ha colto l’occasione per provare a inventare qualcosa di nuovo. Non è facile, per chi in trent’anni ha raccontato – a ritmo serrato – di amori e di nevrosi, insegnando le parole precise per dirlo, le immagini essenziali per spiegarlo meglio. Ha anche un’età, quel signore con gli occhiali. E la lucidità necessaria a capire che la parte del giovane protagonista in balia degli ormoni doveva essere assegnata a qualcun altro.
Ha scelto Jonathan Rhys-Meyers, belloccio con l’arietta stronza a cui si perdona persino la fronte un po’ alta, e per sancire con decisione lo stacco ha pure cambiato lo sfondo: Londra è la nuova New York. Necessariamente, i toni finiscono per essere meno partecipi e le fotografie quelle di un generico album di vacanze londinesi. O forse è solo questione di pigrizia. La stessa che lascia scorrere tutte e due le ore di film senza un dialogo brillante, una battuta che ci inchiodi all’evidenza della tesi e ci lasci compiaciuti della nostra intelligenza. Questa volta Woody Allen ha deciso di trattarci da alunni ripetenti: spiega persino il titolo. Avrete presenti quelle partite di tennis che si decidono sul nastro, no? Ecco, anche la vita è questione di rimbalzi. E fa pure un disegnino, per i più disattenti. Incidentalmente, il giovane belloccio è un ex tennista che si ricicla come istruttore di circolo fighetto e, senza sforzo apparente, riesce a sposare una povera ragazza ricca. Descritta senza pietà, di volta in volta, come “intelligente”, “molto dolce”, addirittura “simpatica”. Ma la passione, si sa, è un’altra cosa. Necessita di temporali, labbra carnose e camicette bagnate. Del tormento e dell’innocenza: di Scarlett Johansson, oltre che di tutti gli stereotipi del genere.
Nessuna sconfitta è davvero evitabile, ché le tragedie ignorano qualunque precauzione. Non sarebbe comunque possibile, in natura, condurre un adulterio in maniera più maldestra. Né possono essere sufficienti le distrazioni di una moglie troppo presa da un’altra partita, o la prontezza di riflessi del professionista. Quello che conta – naturalmente – è l’ultimo rimbalzo. E questa è la buona idea.