Perché bisogna ringraziare il Cavaliere

Cari lettori di Left Wing, a costo di farvi sobbalzare sin dalla prima riga vorrei brevemente illustrarvi una tesi che a me non pare troppo paradossale. Alla fin fine, bisogna ringraziare Berlusconi. Lo so che alcuni penseranno magari che sono il solito provocatore che scrive su troppi giornali, e dunque ogni tanto deve stupire con qualche trovata bislacca. Ma vi assicuro che non è così. Formulo una semplice domanda. Mi sapete dire che cosa sarebbe avvenuto, se Berlusconi non avesse deciso lui di cavalcare a briglia sciolta l’arma polemica dei famigerati interessi impropri tra cooperative rosse, Ds e Massimo D’Alema? Lo so bene che la storia non si fa con i se. Ma è più che probabile ai miei occhi che alla fine il centrosinistra dovrà essere assai più grato di quanto immaginassi a Fausto Bertinotti. Non ci fosse stato lui, nel primo faccia a faccia televisivo con Berlusconi, a farlo cadere nel tranello di quell’espressione dal sen fuggita “sul caso Unipol so altre cose e sto valutando se dirle ai magistrati”, l’indomani mattina con ogni probabilità il premier dai procuratori romani non ci si sarebbe recato mai. Sono fonti assolutamente di prima mano dell’entourage del Cavaliere, a riferire che la decisione di recarsi in Procura fu presa per non far apparire una imperdonabile leggerezza le parole pronunciate in televisione. Perché fino a quel momento Berlusconi aveva seguito un’altra linea.
Quella, per intendersi, messa a frutto dal vincitore vero nel centrodestra della disfida bancaria, cioè Giulio Tremonti che dopo la cacciata del 2004 si è preso la rivincita in carrozza di un ritorno trionfale per vedere in poche settimane riformata Bankitalia e sostituito Fazio. Tremonti ha tesaurizzato in ogni sua uscita pubblica e televisiva la vittoria, rivendicando a sé il merito di aver iniziato l’attacco sui casi Cirio e Parmalat in cui i risparmiatori avevano perso miliardi di euro, senza aspettare la scalata Rcs che ha fatto cambiare improvvisamente idea a Montezemolo e Della Valle. Certo Tremonti ha alluso anch’egli alle coop e ai collateralismi impropri, ma si è guardato bene dall’apparire giustizialista e dal dire che egli per primo avrebbe fornito elementi di prova alle indagini.
Ve lo immaginate, se Berlusconi avesse a propria volta callidamente fatto propria la linea dell’astuzia seguita dal suo ministro dell’Economia? Che cosa sarebbe avvenuto, se il premier si fosse limitato a una beffarda dichiarazione in cui, dopo aver detto che naturalmente non spetta a lui metter la mano sul fuoco per gli eventuali reati finanziari commessi per finanziare l’opposizione, avesse però espresso invece ironica solidarietà per i sospetti giustizialisti che lambiscono i Ds e in primis D’Alema e il suo entourage?
Scusate ma la domanda non è affatto scontata e retorica. Con il ritmo e l’intensità che avevano preso nei due mesi precedenti le salve di artiglieria dei giornali confindustriali, Corriere della sera, Stampa e Sole, inevitabilmente si sarebbe ancor più gonfiata l’eruzione lavica dei tanti commentatori sulla cui buona fede personalmente posso anche – in molti casi, non sempre – essere convinto – conoscendone da decenni la matrice di eticismo di derivazione azionista – ma i cui effetti elettorali sul popolo di sinistra sarebbero stati assai più devastanti di quanto in pochi giorni invece la bella pensata berlusconiana non abbia ottenuto l’effetto di contenerli. Ai colpi continui di Barbara Spinelli e Mario Deaglio e dei columnist mielisti, sarebbe stata tutt’altra partita rispondere. Avevano già ottenuto l’effetto di sospingere l’angelico Prodi a una ripresa chiaramente polemica del tema “partito democratico” in chiave decisamente antimalaffare, e inevitabilmente il corso delle cose avrebbe sollecitato gli interessi del vasto fronte di chi nel centro sinistra sul nome di D’Alema intende giocare un regolamento di conti che con le coop, Unipol, Hopa, Telecom e quant’altro non ha proprio niente a che vedere.
Di conseguenza, da osservatore la mia opinione è che l’errore politico di Berlusconi di inforcare – proprio lui – la via giudiziaria è l’ennesima conferma della genialità di von Hayek, e della sua nota tesi sulla prevalenza degli effetti inintenzionali delle decisioni e delle attività umane. Convinto con quest’arma di rendersi candidato premier insostituibile rispetto alle diverse aspettative maturate in primis dai leader del centrodestra – tutti convinti di perdere, se Berlusconi non cede il passo a uno di loro – il premier ha sottolineato in maniera tanto evidente la speciosità dell’attacco su Legacoop, che i giornali confindustriali hanno subito dovuto darsi una regolata, e il partito democratico è tornato a essere una mera ipotesi per il futuro – quando se ne potrà parlare politicamente e non in punta di ramazza morale. Umberto Eco avrà deluso le speranze della pattuglia moralista, ma dice la verità quando invita a tempi “politici” per la nuova formazione riformista della sinistra, e rifiuta di allinearsi a tappe dettate dai pm e dalle sdegnose vestali dei “poteri deboli” confindustriali. Quelli che sono tutti nelle mani delle banche, dalla Fiat alla Telecom, e in primis delle due vere detentrici della maggior quota di potere italiano – Capitalia e Intesa. Ma questo è tutt’altro capitolo, e purtroppo avremo tempo per occuparcene.