Se Woody non si limita a palleggiare

Poniamo che non siate adepti del culto alleniano, che non sappiate a memoria i dialoghi di Io e Annie, o di Manhattan, o di Zelig. Poniamo che non sappiate se sia vero che gli ultimi film, sì certo, Allen è sempre Allen, però… Poniamo che siate come il sottoscritto insomma, non per pregiudizio, ma perché semplicemente, non è mai capitato. Poniamo infine che, premesso quanto sopra, andiate a vedere Match Point, che comunque non è “un film di Woody Allen” – è un film di Hitchcock, dicono, e qui già siete più preparati – ma per voi non lo è sul serio. Siete trasparenti ad ogni eventuale riferimento incrociato, e guardate il film per quel che è, non per quel che manda a dire degli altri, e del suo regista.
Inizia facile, la palla sul nastro, gli effetti delle coincidenze fortuite, ovvero la dinamica di sistemi non lineari sensibili alle condizioni iniziali, per chi voglia una base teorica; le botte di culo, per chi ami la sintesi.
Troppo facile, però. Dopo dieci minuti avete già capito tutto, Chris è il Forrest Gump degli arrampicatori sociali, tutto accade attorno a lui e lui si limita a lasciarlo accadere, o quasi. Ovviamente non ama Chloe, la sorella del facoltoso amico – “tua sorella è molto intelligente” – e altrettanto ovviamente finisce per impalmarla, ponendo le basi per una duratura infelicità – “stasera no, sono sfinito” fino all’apoteosi “tu hai un un’amante” “un’amante? …no…” – lui ha lo stretto indispensabile di faccia di tolla, ma lei proprio non ci vuole arrivare.
Nola, l’altra, fa la fatalona per un minuto e mezzo, ma non ci crede neanche lei, e ripiega su una più semplice ragazza travolta dagli eventi.
Lo stream of consciousness dello spettatore, assecondato dai lunghi silenzi tra una battuta e l’altra, si concentra sul protagonista. Chris il cacciatore di dote e di guai: c’è o ci fa? E’ uno che batte o che risponde? Ci fa essendoci, concludo dopo un po’, serve piano e resta a fondo campo. Fa il maestro di tennis, dopo tutto.
Non è che ci si aspetti originalità a tutti i costi, ma se i dialoghi non fossero da fotoromanzo si eviterebbero sbadigli e risatine strozzate (che non sta bene). L’obiezione che sia colpa dell’adattamento è una difesa d’ufficio da adepti del Culto, non attacca con noi catecumeni, e pazienza se non potremo prendere i sacramenti per un po’, che noia ‘sto Allen.
Ecco, è precisamente mentre vi si disegnano in testa queste parole che la storia comincia a prendere ritmo, e quando le tinte si fanno fosche siete finalmente avvinti, e disposti a perdonare qualche incongruenza (la cameriera di casa Hewett che non riconosce la voce di Nola al telefono, ad esempio, è piuttosto improbabile), perché finalmente Chris deve rispondere a colpi imprevisti, non può limitarsi a palleggiare, e mostra un repertorio più vario del solito, come Allen, che costruisce per bene un gioco di immagini con un dettaglio. Quello che, pensate voi, segnerà il finale di partita per Chris. Ma a volte le palle sul nastro, la vita, i sistemi dinamici, le botte di culo, le coincidenze.
Forse è un segnale. In settimana vado a noleggiare Crimini e Misfatti, va bene per incominciare? >