In difesa di Luciano Moggi

Da alcuni giorni assistiamo a uno spettacolo surreale. Tutto è iniziato con la pubblicazione delle intercettazioni di Luciano Moggi e con una stupefacente fusione tra mondo del calcio e giustizialismo mediatico. Le intercettazioni non avevano, al solito, alcuna rilevanza penale. Ma questo, al solito, non fa nulla. Siccome però se deve piovere, allora diluvia, la rilevanza penale è arrivata subito dopo, da un’altra procura, che con quelle intercettazioni nulla aveva a che fare. La macchina era comunque già in moto. Abbiamo già visto Marco Travaglio presenziare a talk show in qualità di se stesso parlando di calcio, o di manette, o di entrambe le cose; abbiamo visto vecchie glorie chiedere “un Csm degli arbitri” e compassati conduttori prendere partito considerandolo “un passo ormai ineludibile”. Sono poi scesi in campo i politici e il tutto si è fatto ancora più surreale. Il tono delle dichiarazioni era inequivocabilmente da curva sud, e in effetti era anche appropriato, se non fosse stato (anche) lo stesso solitamente riservato al dibattito politico. La ciliegina sulla torta l’ha messa sui giornali di domenica Enrico Boselli, deplorando “il metodo Moggi” per l’elezione del Presidente della Repubblica. Per tutto il giorno abbiamo atteso invano che Della Valle o Moratti invocassero il metodo Ciampi per la nomina del designatore arbitrale. Quando a fatica ci siamo riavuti dal forte capogiro che ci aveva colto abbiamo capito quale sublime metamorfosi era davanti ai nostri occhi. La trasformazione finale di un certo circo mediatico-giudiziario alla dimensione che più gli si confà: quella del bar sport.