Venticinque partite in seconda fila

Sono iniziati i mondiali di calcio e nessuno se ne è accorto. Non stiamo esagerando, chiunque abbia vissuto in questo paese almeno un campionato del mondo – ma anche un semplice europeo – sa benissimo che questo è solo un surrogato per bambini. Un mondiale in formato giocattolo. Talmente in tono minore da far tenerezza. Certo, la crisi del calcio italiano ha influito sullo stato d’animo del tifoso, ma nessuno si era illuso, sapevamo tutti che sarebbero bastati un paio di gol per dimenticare Moggi e soci. Perché il campionato del mondo serve proprio a questo. E’ lo stesso sport (ventidue uomini che corrono dietro a una palla), ma non è lo stesso gioco. Per un mese si accantonano i vecchi schemi, si mischiano le carte e ci si reinventa tifosi.
La crisi del calcio italiano, semmai, ha inciso pesantemente sulle trasmissioni sportive. Le poche che sono rimaste infatti sono come minimo sotto tono. Un crollo a catena talmente vasto che in confronto la situazione della Lega calcio sembra un contenzioso condominiale. Il primo colpo all’assetto televisivo è stato inferto – ovviamente – dalla mancata convocazione di Aldo Biscardi. La sua, più che una trasmissione sportiva, era un rito propiziatorio. Sparito lui, l’atmosfera calcistica si è tragicamente ripiegata su se stessa, e il calcio ha addirittura cominciato ad assomigliare a uno sport normale. Al posto di Biscardi, su La7, c’è ogni sera un programma condotto da Darwin Pastorin, che già dal titolo fa capire come stiamo messi: “Il gol sopra Berlino”. Non che sia malvagia sotto il profilo tecnico, è che se fosse davvero un film di Wim Wenders per lo meno sarebbe più allegro.
Ma la perdita più grave per i palinsesti era stata accusata molti mesi prima, quando i diritti televisivi per il campionato del mondo – per l’intero campionato – furono acquistati da Sky. All’epoca se ne resero conto in pochi. Alla Rai, dopo le inevitabili polemiche, andarono solo venticinque partite. I più incauti commentarono che in fondo venticinque partite sembravano più che sufficienti per godere a pieno della manifestazione. Ma è evidente che era ancora troppo presto per mettere a fuoco il problema. La Rai ha solo una partita al giorno, che centellina come meglio può, con collegamenti, servizi e una trasmissione in seconda serata condotta da Marco Mazzocchi (basterebbe vedere lo studio da cui va in onda per capire che non ci credono neanche loro). Per tutto il resto della giornata non c’è nulla. Non c’è Svezia-Trinidad&Tobago da seguire solamente per simpatia. Né Ecuador-Costarica per discutere in ufficio dell’acconciatura dei giocatori. Ma soprattutto, non c’è nessuna traccia dell’abituale invasione calcistica del palinsesto, né alcun martellamento mediatico. Niente. Non è più un evento collettivo. Che i mondiali vadano regolarmente (e interamente) in onda su Sky, infatti, è del tutto irrilevante. Lo sanno tutti che l’abbonamento a Sky è una scelta personale, un fatto privato. E’ come comprare il cofanetto di 24 e vederselo da soli. E’ appassionante, ma non puoi condividerlo con gli amici. Non puoi ammiccare complice al vicino in fila alla posta, dando per scontato che abbia visto tutto come te. E domandare, poi, sarebbe oltremodo indelicato. La verità è che questo campionato del mondo non è solo tremendamente triste, è pure poco democratico.