Viaggio al termine degli Stati Uniti

A cavallo delle presidenziali dell’autunno 2004 che confermarono Bush alla Casa Bianca, Flavio Baroncelli era negli Stati Uniti per curarsi un linfoma. Siccome di mestiere fa il professore di filosofia morale all’Università di Genova, tra una visita e una terapia all’Uams, l’ospedale universitario di Little Rock, decide di scrivere un bel libro che si intitola “Viaggio al termine degli Stati Uniti”, uscito pochi mesi fa. Rileggere quel diario, che ha l’obiettivo di spiegare “perché gli americani votano Bush e se ne vantano”, può essere dopo la recente affermazione dei democratici alle elezioni di medio termine un esercizio interessante.
Il “Viaggio” consiste in due mesi “nella polpa del popolo americano”, quello delle sale d’aspetto, delle file ai supermercati, delle famiglie che caricano mezza casa sul camper e vanno al parco per il week end. Baroncelli, che è un uomo di sinistra, abbozza una spiegazione non certo originale ma sostanzialmente vera: i redneck (letteralmente collottola rossa, che sta per contadinazzi scarpe grosse e cervello pure) scelgono la destra perché una generazione di intellettuali neoconservatori ha evocato da ormai molti anni “un Soggetto – prevalentemente maschile – naturale, spontaneo, libero, e direttamente collegato alla Verità tramite il buon senso grossolano ma infallibile dei padri e dei nonni”. Quel soggetto “semplice e con le palle” vota repubblicano perché sente di non essere “attento alle minuzie e femminilizzato” come la gran parte degli elettori di sinistra. Una sinistra che sconta il “ridicolo” di aver dimenticato il sano common sense – vera forza della nazione – e di essersi imbottigliata in una political correctness da operetta. E’ la cosiddetta right nation che Baroncelli descrive, forse con qualche pregiudizio, ma poi neanche tanto, visto che lo fa coscientemente da un ospedale dell’Arkansas dove “fanno una diagnosi specialissima, unica al mondo”. Lo fa dal “Sud in Us, che non è un punto cardinale, ma uno schieramento bellico”. Posti dove si è “provinciali senza rendersene conto”, dove si è attaccati ai “valori di Via col Vento, che quando li elencano, direi che Buttiglione al confronto ci fa una gran bella figura”, dove “quando chiedono più libertà, vogliono non pagare le tasse che secondo loro servono solo per i negri oziosi”, dove “la morale è semplicemente proibire ad altri ciò che loro, i cafoni, non fanno e non sentono bisogno di fare”. Ma anche su nel Montana, di cui in Italia si è parlato molto in questi giorni, pare di capire che le cose non siano poi così diverse. Ecco, se tutta questa gente di solito vota Bush, che cosa è successo precisamente la settimana scorsa? Perché delle due l’una: o quel popolo si è “femminilizzato” oppure, nel frattempo, sono cambiati i democratici. Alcuni osservatori ritengono che l’artefice della vittoria sia stato Rahm Emanuel, il capo del comitato elettorale democratico, che ha piazzato candidati atipici – cioè più affini ai conservatori che ai liberal – nei collegi in bilico. La right nation dunque non avrebbe nella sostanza cambiato pelle. Se questo è vero (il che è tutto da dimostrare e, al netto del genio di Emanuel, lo si vedrà nei prossimi mesi), cosa dovrà fare la sinistra in futuro per consolidare il successo? I neocon – scrive Baroncelli – “non parlavano di Gramsci ma lo mettevano in pratica” cioè combattevano per “conferire alle proprie idee lo status di senso comune”. E’ mai possibile che la sinistra per vincere ancora sia costretta a essere egemone con la faccia della destra?
“Viaggio al termine degli Stati Uniti” – che è stato scritto “con uno sguardo strabico: un occhio all’Italia, un occhio agli Stati Uniti” – tiene sempre le persiane aperte sul nostro paese. In Italia c’è stato un periodo in cui “le persone di sinistra che volevano essere innovative non avevano molte certezze, ma di una cosa erano sicure: avevano il terrore di scoprirsi politically correct”. Senza accorgersi che probabilmente il “format di Ottoemezzo” (“da una parte uno un po’ intimidito che tenta di dire le sue cosine solidali e speranzose, dall’altra uno con gli attributi che gliele boccia tutte come luoghi comuni”) non funziona più. La sinistra italiana dovrebbe rendersene conto e “dedicarsi alla critica della critica del politically correct”. Magari usando le stesse armi coglionatorie dei destri. Non si capisce perché, infatti, “rifiutarsi di studiare Shakespeare in quanto bianco anglosassone e razzista è da bacchettoni politicamente corretti, ed è comico; proibire Darwin non lo è”. Per Baroncelli però non tutti sono consapevoli di questo cambio di prospettiva, magari molto easy, ma probabilmente efficace. O scimmiottano le idee della destra per convincere gli elettori di mezzo oppure evocano le appartenenze e i valori, quelli per i quali si ritiene che la “Storia abbia un Motore in pancia” e per i quali “prima si deve capire tutto, e poi spiegare tutto a tutti, e poi agire tutti insieme coerentemente”.
Il “Viaggio” si chiude con un auspicio che suona bene ed è pessimisticamente ottimista. L’autore si augura che, fra qualche anno e magari in un posto “più lieve” dell’ospedale di Little Rock, dovrà essere costretto a spiegare perché, “pur dimostrando una scarsa tendenza a capire ciò che le accade, la sinistra, in America e in Italia, avrà finito col tenere il banco per un po’ di anni di seguito”.