La disfatta dei cattolici democratici

Il disegno di legge Bindi-Pollastrini sui Dico, elaborato e redatto da Stefano Ceccanti (capo dell’ufficio legislativo del ministero delle Pari opportunità, nonché ex presidente della Fuci) e da Renato Balduzzi (presidente del Meic, il movimento che continua e rinnova la storia spirituale, culturale ed ecclesiale del Movimento laureati dell’Azione cattolica) non sembra avere portato ad altro se non alla fine – quantomeno all’inizio della fine – del presenzialismo politico del cattolicesimo di stampo democratico. E cioè di quel cattolicesimo che oggi cerca di dire la sua all’interno della coalizione di centrosinistra.
Eppure era chiaro da tempo che la Santa Sede tutto avrebbe accettato tranne un arretramento dei cattolici (di qualsiasi coalizione e partito) sui quei principi “non negoziabili” tanto cari a Joseph Ratzinger. Principi che, proprio perché “non negoziabili” – inequivocabilmente – non ammettono compromessi di nessun genere. Ma i cattolici del centrosinistra – Clemente Mastella a parte – hanno voluto giocare la loro partita, insistendo sulla proposta dei Dico, con l’autorevole supporto di esponenti di prestigio come l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
Il pontificato di Benedetto XVI si è aperto sulla necessità di non tradire quei “principi non negoziabili” sui quali si ritiene la società debba essere radicata: la famiglia fondata sul sacramento del matrimonio, il no all’aborto e all’eutanasia, la difesa della vita fino al riconoscimento dell’embrione umano come persona. Principi sui quali il pontefice ha continuato a insistere fino a oggi. E sui quali insisterà in futuro.
Proprio per sottolineare come questi principi siano la vera priorità del suo pontificato, soltanto poche ore dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri del ddl sui Dico, il presidente uscente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, ha sconfessato apertamente l’operato della cattolicissima Bindi. E ha annunciato che, se il ddl sui Dico fosse entrato nell’agenda parlamentare, ci avrebbe pensato lui, con una nota scritta, a spiegare che cosa la coscienza avrebbe dovuto dettare ai politici cattolici. Una nota che, nei fatti, avrebbe posto un confine invalicabile. Al di là delle tante e belle parole spese da Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni nel documento di protesta contro la nota di Ruini e la Cei tutta, infatti, per il cardinale votare sì ai Dico avrebbe significato porsi dalla parte dei cattivi, dalla parte di coloro che appartengono a una Chiesa le cui idee non corrispondono a quelle di chi la guida. E se la Chiesa fonda da secoli le proprie posizioni – anche dottrinali – sull’obbedienza a chi per istituzione divina la guida, è evidente il peso che quella nota avrebbe avuto. Perché il cattolicesimo è pur sempre altra cosa dal protestantesimo, dove vale l’intimistica e personale interpretazione delle parole della Bibbia.
Il comportamento tenuto sulle coppie di fatto dalla maggioranza dei cattolici schierati nelle file dell’Unione, a ben vedere, non è dissimile da quello con cui dovette fare i conti papa Paolo VI nel corso del suo pontificato, da parte di parlamentari cattolici più vicini a posizioni di sinistra (il referendum sul divorzio creò divisioni profonde, come noto, anche nel mondo cattolico). Paolo VI non ci mise molto a pentirsi per avere in qualche modo dato il proprio benestare alla scelta di entrare in politica di Raniero La Valle, negli anni Sessanta direttore del maggior quotidiano cattolico italiano, L’Avvenire d’Italia. La Valle, una volta lasciata la guida del quotidiano, si mostrò sempre più vicino alle posizioni progressiste che si riconoscevano nel magistero del cardinale Giacomo Lercaro e nella cosiddetta scuola di Bologna. Posizioni che La Valle difese anche nel 1976, l’anno del grande salto in politica, quando decise di divenire parlamentare della sinistra indipendente. Paolo VI non digerì mai completamente la spostamento a sinistra di La Valle tanto che, nei sacri palazzi, c’è ancora oggi chi sostiene che le parole scagliate dal pontefice nel corso di un’udienza generale contro quei “violini” che nella Chiesa suonano “un’altra partitura” fossero in qualche modo riferite ai cosiddetti cattolici illuminati stile La Valle.
Dal pontificato di Paolo VI a quello di Benedetto XVI sono trascorsi parecchi anni. Ma ancora oggi, da parte delle gerarchie, sotto accusa è il comportamento di un cattolicesimo propenso a essere non solo sempre più presente e attivo nel campo sociale, ma anche meno incidente, se non addirittura remissivo, sulle questioni di principio che interessano direttamente la vita politica del paese. Nella convinzione che non sia nell’interesse della Chiesa conquistare il consenso dei più arretrando sui principi. Principi che per la Chiesa, almeno fino quando Joseph Ratzinger ne sarà il capo, sono e restano “non negoziabili”.