Il progresso dei limiti

Cara Left Wing – Nei giorni scorsi, un importante e autorevole contributo al dibattito su destra e sinistra è venuto sulle pagine del Corriere della sera addirittura da Roberto Calasso. Non che sia un contributo nuovo, visto che l’illustre scrittore ha ritenuto ancora valide le considerazioni che in merito fece nel lontano 1993, e già questo dovrebbe segnalare, a parer suo, quanto logoro sia il dibattito medesimo. Ma è nel merito che queste considerazioni si segnalano. Calasso ritiene infatti che ci voglia della “beata improntitudine” per parlare oggi di progresso, perché la parola è del tutto priva di significato. Io però mi chiedo come stia insieme l’idea che la parola progressista sia semplicemente inservibile, e faccia vagamente schifo, con l’affermazione – che Calasso ci dona nel corso del medesimo contributo – che la democrazia formale rappresenti “la forma politica più alta che l’Occidente abbia inventato”, visto che per inventarla c’è voluto, in mezzo a molte altre cose, anche un bel po’ di tempo. Forse Calasso concederà almeno questo, che è un progresso limitarsi a una definizione molto limitata di progresso. E dunque, con le sue stesse parole: c’è progresso quando si consideri che la democrazia è, fino a prova contraria, la forma politica più alta che l’Occidente abbia inventato. E siccome Calasso afferma pure che la democrazia “fa già un’enorme fatica ad applicarsi nei paesi che l’hanno inventata”, ricavo senza troppo difficoltà anche una definizione implicita di progressista: è progressista colui il quale ritenga che la democrazia non si applica senza fatica, e va anzi aiutata e sostenuta, perché si stabilisca o si consolidi contro le potenti spinte che vengono in senso contrario (da qualunque parte vengano). Ringrazio l’illustre scrittore nonché editore di prestigio Roberto Calasso per avermi fornita, sia pure obtorto collo, una indicazione abbastanza soddisfacente di cosa sia il progresso e di chi sia progressista.
Massimo Adinolfi