Le parole-cadaveri del Partito democratico

Domenica prossima, al Teatro delle Api di Porto Sant’Elpidio, Rosy Bindi discuterà il tema “La buona politica, la cattiva politica” con Gian Antonio Stella, autore del celebre libro-inchiesta “La casta”, da lei tante volte citato in questi giorni. Una scelta che si accorda perfettamente con la linea tenuta finora dalla Bindi, ma anche da Enrico Letta, nella campagna per le primarie del Partito democratico. Una linea dalle radici antiche, che percorrono tutti gli anni Novanta, ma che in realtà affondano nelle catacombe della cosiddetta Prima Repubblica. Una linea riassumibile nello slogan di tutti i raider che in questi anni, dal 1992 in avanti, sulle macerie dei partiti hanno fatto fortuna: la società civile contro gli apparati. Nelle due lettere aperte con cui Walter Veltroni ha voluto rispondere alle critiche e delineare la sua strategia, naturalmente, quelle stesse parole-cadaveri hanno corso ampiamente. I tre principali candidati alla guida del Pd fanno a gara nello scagliare ognuno il proprio sassolino contro quegli apparati che dovranno allestire le loro primarie, organizzare le loro campagne e assicurare a ciascuno i voti e il sostegno di militanti ed elettori in ogni angolo del paese. Tanto valeva candidare direttamente Luca Cordero di Montezemolo, ancora in questi giorni impegnato a ripetere che il problema dell’Italia sono i partiti e i sindacati, due “totem” (evidentemente la cantilena sulla casta è venuta a noia anche a lui) intoccabili e indiscutibili.
La migliore dimostrazione di quale sia la ricaduta concreta di una simile retorica cadaverica è offerta dalla prima lettera aperta di Veltroni, dove il principale candidato alla guida del Pd svolge questo limpido ragionamento: siccome il nuovo partito dev’essere realmente nuovo, nelle liste per l’assemblea costituente devono esserci alcune centinaia di illustri personalità della società civile, ovviamente scelte da lui. Per dirla con le sue parole testuali: “E’ in questo spirito che nei prossimi giorni mi permetterò di indicare, a chi nelle diverse realtà regionali si sta organizzando per sostenere la mia candidatura, un’ampia rosa di centinaia di nomi di personalità che rappresentino le qualità migliori della società italiana. Personalità autorevoli, indipendenti, la cui presenza, per le loro competenze, per la loro esperienza, per il loro impegno nella vita quotidiana del Paese e per la passione civile che le anima, è di vitale importanza per il successo della vera e propria rivoluzione democratica che il Pd intende rappresentare”. Ecco, appunto. E casomai qualcuno, negli apparati, pensasse che simili indicazioni è pur sempre possibile discuterle, il candidato precisa: “E’ questo, per me, un punto decisivo, pregiudiziale: non potrò infatti sottoscrivere l’apparentamento a liste che non rispecchino tali caratteristiche di pluralismo, di innovazione e di apertura”. Pluralismo, innovazione e apertura che evidentemente si rispecchieranno perfettamente nelle centinaia di nomi, mica decine, che il sindaco di Roma avrà la bontà di indicare agli odiosi apparati. Detto questo, qualche riga più in basso, segue l’immancabile citazione per Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, che in un articolo pubblicato qualche giorno fa sul Corriere della Sera hanno spiegato, riassume Veltroni, che “il contribuente italiano paga per il finanziamento dei partiti molto di più degli altri contribuenti europei”. Ragion per cui “dobbiamo dire con chiarezza che è giunto il momento di riportare la nostra spesa pubblica per il finanziamento dei partiti ai livelli del resto d’Europa”. Affermazione misurata e pienamente condivisibile: qualsiasi discorso sui costi della democrazia non può non partire da qui. Peccato che in merito il discorso di Veltroni qui termini. Ma si può scommettere sin d’ora che domenica prossima, colloquiando con Gian Antonio Stella a proposito di buona e cattiva politica, Rosy Bindi non andrà molto più in là. E lo stesso discorso, per essere equanimi, si può estendere tranquillamente anche a Enrico Letta e a tutti gli altri candidati alle primarie.
Il problema delle parole-cadaveri è che assomigliano ai mostri dei film horror a basso costo, che si muovono sempre avvolti in una fitta nebbia, non tanto per esigenze di atmosfera, quanto per evitare che lo spettatore possa rendersi conto di quali ridicoli pupazzi di plastica sono in realtà. Prima o poi, però, dalla nebbia bisognerà uscire. E qualcuno dovrà pur dire come si concilia la retorica della separazione tra politica ed economia con la campagna contro il finanziamento pubblico dei partiti e in favore del modello americano, dove l’influenza delle grandi lobby economiche è addirittura istituzionalizzata. In ossequio al valore della trasparenza, naturalmente, che non manca mai di rendere omaggio alla virtù.
E’ sotto gli occhi di tutti il modo in cui, nei fatti, tali opposte argomentazioni si conciliano. I partiti, o magari i loro singoli esponenti, che sapranno guadagnarsi il favore di chi controlla l’informazione e la finanza – tanto più che in Italia le due cose vanno insieme come ciliegie – non avranno difficoltà a trovare le risorse e la pubblicità di cui hanno bisogno. Gli altri imparino a comportarsi come si deve, oppure si arrangino con le sottoscrizioni dei militanti e con i volantinaggi. Per far risparmiare i partiti c’è poi un sistema semplicissimo e già ampiamente utilizzato, che consiste nello stipare ministeri e assessorati di funzionari di apparato, lasciandoli così a carico della collettività, ma non più a carico dei partiti. E nel remunerare i propri privati finanziatori con appalti e con ogni genere di trattamento preferenziale.
Così vanno le cose in Italia, ancora oggi, nonostante quel finanziamento che giustamente Veltroni dice di volere allineare alla media europea. Sarebbe utile, però, che qualcuno pensasse anche a un meccanismo più efficiente di distribuzione delle risorse. Un meccanismo che consenta di uscire finalmente dall’attuale sistema di finanziamento surrettizio – degno figlio dell’antica campagna contro il finanziamento pubblico culminata nel referendum promosso dai radicali – che favorisce il proliferare di micropartiti personali, alimentando ulteriormente il circolo vizioso appena descritto. E questo è un problema ben più serio delle comunità montane a livello del mare, perché non è solo una questione di “soldi dei contribuenti”, ma prima di tutto una questione democratica. Stupisce che i candidati alla leadership di un partito che si chiama proprio così – Partito democratico – non se ne rendano conto e non reagiscano adeguatamente, a viso aperto, dinanzi alla campagna martellante condotta dai grandi giornali. Invece di contendersi le attenzioni del lupo che intende sbranarli.

Post Scriptum: lieto di avere perso la scommessa, devo aggiungere che al dibattito di domenica Rosy Bindi ha detto che “i costi devono scendere, ma non si può pensare che la politica la possano fare solo quelli che hanno le disponibilità economiche” (27/8/07).