L’ultimo discorso del presidente DSK

Quello che segue è il discorso pronunciato il 13 aprile 2011, presso la Brooking Institution, dal direttore del Fondo monetario internazionale (e potenziale candidato alle presidenziali francesi) Dominique Strauss-Kahn.

Buongiorno. Vorrei ringraziare la Brooking Institution, e in particolare il mio caro amico Kemal Dervis, per aver offerto tempestiva ospitalità a questo importante evento. Sono inoltre contento che Sharan Burrow – segretario generale dell’Ituc [International Trade Union Confederation] – possa essere con noi questa mattina.
Alla fine della sua opera magna, la Teoria Generale, Keynes si esprime così: “I difetti più evidenti della società economica in cui viviamo sono l’incapacità a provvedere la piena occupazione e la distribuzione arbitraria e iniqua delle ricchezze e dei redditi”. Non tutti saranno completamente d’accordo con queste parole. Ma quel che abbiamo imparato nel corso del tempo è che disoccupazione e diseguaglianza possono minare i successi di una economia di mercato gettando i semi dell’instabilità. In troppi paesi la mancanza di opportunità economiche può portare ad attività improduttive, instabilità politica e perfino conflitti. Basti guardare al pericoloso cocktail di disoccupazione e diseguaglianza – combinati con la tensione politica – che sta esplodendo in Medio Oriente e in Nord Africa. Poiché la crescita accompagnata da tensioni sociali non è foriera di stabilità economica e finanziaria, il Fmi non può restare indifferente al tema della distribuzione. Perché, se da un lato oggi la ripresa c’è, la crescita – almeno nelle economie avanzate – non sta creando posti di lavoro e non è diffusamente condivisa. Molte persone in molti paesi stanno affrontando una crisi sociale altrettanto seria quanto la crisi finanziaria. La disoccupazione è a livelli record. La crisi ha gettato sulla strada trenta milioni di lavoratori. E oltre 200 milioni di persone nel mondo sono oggi in cerca di un impiego. La crisi del lavoro colpisce i giovani in modo particolarmente duro e quello che avrebbe dovuto essere un momento di disoccupazione temporanea si sta trasformando in una condanna a vita, forse per un’intera generazione. In troppi paesi la disegualianza è ai massimi di sempre. Ma mentre affrontiamo queste sfide, ricordiamoci dei risultati che abbiamo raggiunto. Sotto l’egida del G20, i policy maker hanno unito le forze per evitare un tracollo finanziario e forse una seconda Grande Depressione. Oggi abbiamo bisogno di una risposta altrettanto energica per assicurarci di ottenere la ripresa di cui abbiamo bisogno. E questo significa non soltanto che la ripresa sia sostenibile e bilanciata fra i vari paesi, ma anche che porti occupazione e una equa distribuzione del reddito.
Comincerò con l’occupazione. Così come abbiamo domato l’inflazione negli anni Ottanta, questo dovrebbe essere il decennio in cui affrontiamo seriamente il problema dell’occupazione. Cosa fare? Per cominciare, abbiamo bisogno di una riforma e di un aggiustamento del settore finanziario, per rimettere le banche al servizio dell’economia reale e indirizzare il credito alle piccole e medie imprese, che sono il volano dell’occupazione e della crescita. Ovviamente, un contesto di domanda favorevole è una condizione necessaria per la crescita e per il lavoro. Finché la disoccupazione resterà così alta e non ci saranno pressioni inflazionistiche, una politica monetaria accomodante può essere di aiuto. E la politica fiscale? I paesi avanzati devono ricondurre le finanze pubbliche su sentieri sostenibili nel medio termine, in modo da aprire la strada alla crescita futura e all’occupazione. Eppure, le strette fiscali possono ridurre la crescita nel breve termine e questo può a sua volta aumentare la disoccupazione di lungo periodo, trasformando un problema ciclico in uno strutturale. Dunque, l’aggiustamento fiscale deve essere svolto con un occhio alla crescita. Ma la crescita da sola non basta. Abbiamo bisogno di una politica del lavoro. La crisi ci insegna che politiche ben progettate per il mercato del lavoro possono salvare l’occupazione. Pochi metterebbero in discussione l’idea che decenti sussidi di disoccupazione costituiscono la base del sistema economico. E se combinate con l’istruzione e la formazione, possono aiutare i disoccupati ad adattarsi a una economia in continua evoluzione. Questo è particolarmente rilevante quando le perdite di posti di lavoro sono concentrate fra i lavoratori giovani e quelli poco qualificati, e quando la durata media della disoccupazione si allunga. Dobbiamo essere pragmatici. Dobbiamo andare oltre l’inutile contrapposizione manichea tra “flessibilità” e “rigidità” del mercato del lavoro. Dobbiamo piuttosto chiederci se le politiche adottate sono efficaci nel creare e sostenere l’occupazione. A volte lo sono, a volte no. Dobbiamo essere cooperativi. I paesi devono lavorare insieme su una serie di tematiche, tra cui la regolamentazione del sistema finanziario e la risoluzione dei problemi che travalicano i confini nazionali. Devono cooperare per il riequilibrio dell’economia globale. Molti paesi emergenti devono orientarsi verso la domanda interna, sostenuta da una solida classe media. Senza di questo, la crescità globale resterà insufficiente.
Vorrei parlare brevemente del secondo aspetto della crisi sociale: la diseguaglianza. Le ricerche del Fmi suggeriscono che la diseguaglianza può rendere i paesi più vulnerabili alle crisi finanziarie, specialmente se in presenza di un settore finanziario sovradimensionato. Gli studi del Fmi mostrano anche che una crescita sostenibile nel tempo si associa a una più equa distribuzione del reddito.
Queste sfide riguardano sia i paesi più avanzati che quelli in via di sviluppo. Abbiamo bisogno di politiche che riducano la diseguaglianza e che assicurino una distribuzione più giusta di opportunità e risorse. Una forte rete di sicurezza sociale, combinata con una tassazione progressiva, può attutire la diseguaglianza determinata dalle forze del mercato. Gli investimenti nella sanità e nell’istruzione sono fondamentali. I diritti di contrattazione collettiva sono importanti, specialmente in un contesto di salari reali stagnanti. La concertazione fra le parti sociali è un’utile cornice istituzionale, in quanto permette che sia i guadagni della crescita sia le perdite derivanti dalle recessioni siano divisi equamente.
Vorrei spendere alcune parole anche sul ruolo del Fmi. Ora che capiamo meglio i legami con la stabilità, il tema dell’occupazione sta assumendo un ruolo più centrale nella nostra opera di vigilanza, come si può vedere dal World economic outlook. Ho menzionato alcuni dei nostri studi sulla diseguaglianza. Abbiamo anche sostenuto una tassa sulle attività finanziarie. E stiamo prestando più attenzione alla dimensione sociale dei nostri programmi, proteggendo le reti di sicurezza sociale per i poveri e incoraggiando una equa suddivisione degli oneri. La conferenza di Oslo dell’anno scorso – organizzata insieme all’Ilo [International labour organization] e al governo norvegese – è stata una importante pietra miliare, a cui stiamo dando seguito in parecchie aree. In primo luogo, stiamo lavorando con l’Ilo per comprendere meglio le politiche di crescita capaci di creare occupazione. Secondo, in cooperazione con l’Ilo e in consultazione con l’Ituc, stiamo sostenendo la concertazione fra sindacati, imprenditori e governi in tre paesi: Bulgaria, Repubblica Domenicana e Zambia. Terzo, stiamo lavorando con l’Ilo per determinare livelli minimi di protezione sociale nei paesi a basso reddito. E questo fine settimana, quando i principali policy maker mondiali si riuniranno a Washington per misurare il polso dell’economia globale, ho intenzione di presentare loro il quadro relativamente ottimistico di una ripresa sempre più solida, ma anche ammonirli su ciò che si nasconde dietro ai numeri, ossia che ci sono troppe persone che non hanno ancora visto i frutti di questa crescita.
In conclusione: qualche migliaio di anni fa Aristotele scrisse che “la miglior comunità politica è quella che si fonda sulla classe media… quelle città in cui la classe media è la più numerosa… hanno le maggiori probabilità di avere una costituzione ben ordinata”. Questo era vero all’epoca di Aristotele, era vero al tempo di Keynes, ed è vero oggi. La stabilità dipende da una forte classe media capace di spingere la domanda. Questo non può verificarsi se la crescita non conduce a lavori dignitosi o se remunera pochi fortunati anziché i molti lasciati ai margini. In ultima analisi l’occupazione e l’equità sono elementi basilari per la stabilità e per la prosperità economica, per la stabilità politica e per la pace. Ciò è l’essenza del mandato del FMI. Questo deve essere posto al centro dell’agenda politica. Grazie infinite.